Tempo di lettura: 2 minuti

«Alla sanzione amministrativa è sottoposto chiunque illecitamente importa, acquista o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle II e IV congiuntamente ad altri per farne uso personale di gruppo, ovvero coltiva sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nella tabella II per farne uso personale» Questo articolo, compreso nel testo di depenalizzazione dei reati minori, era stato approvato dalla Commissione giustizia del Senato. L’articolo si limitava a prevedere, quindi, che non fossero più reati penali, ma soltanto illeciti amministrativi, la coltivazione per uso personale della cannabis e l’acquisto e la detenzione per uso non solo individuale, ma di gruppo delle droghe leggere. Un comportamento giovanile diffuso – l’acquistare uno per tutti il ‘fumo’ di una serata – veniva in tal modo portato fuori dal recinto del reato penale e così ben distanziato dall’acquisto per lucro, cioè dallo spaccio, a cui tuttora la norma lo tiene impropriamente affiancato. Era apparso a molti un testo troppo moderato, anche perché la giurisprudenza ha già un orientamento che assimila la cosiddetta ‘co-detenzione’ di tutte le droghe alla detenzione per uso personale: si temeva che l’esplicito rivolgersi alle sole droghe leggere finisse col far fare un passo indietro. Così non è però sembrato all’assemblea dei senatori, che invece l’hanno ritenuto troppo ardito e hanno provveduto ad eliminarlo: silenzio da parte delle forze di maggioranza, qualche balbettio da parte del governo che promette di riprendere la questione in un provvedimento ad hoc sui cui tempi nulla è dato sapere. Nessuno stupore da parte di chi ha seguito la vicenda di questo provvedimento e, soprattutto, osserva le politiche che stanno andando avanti sui temi delle libertà e dei diritti: il suo stralcio era già stato preannunciato nell’autunno in un documento sugli «impegni del centrosinistra per la riforma della giustizia» su cui Fuoriluogo era intervenuto in ottobre, e il mutamento di governo, avvenuto nel frattempo, non ha cambiato gli orientamenti. Nella delega alla depenalizzazione che il Senato affida al governo resta così ben poco di significativo. La cancellazione suona come segnale dell’assenza di volontà di andare verso quel ‘diritto penale minimo’ cui si dice – nelle occasioni ‘nobili’ dei convegni – di volersi ispirare; la promessa di affrontare la questione con altri tempi e altri strumenti suona invece come beffa, a più di due anni dagli impegni presi alla II Conferenza nazionale sulle droghe (quella di Napoli del marzo ’97: qualcuno la ricorda?) e rimasti tuttora inevasi. Eppure tutto ciò non stupisce, nel contesto in cui la questione si inserisce: nelle scelte ultime del governo sul tema della tutela della ‘sicurezza’, sia sul versante penale, sia su quello della certezza della pena. Quale depenalizzazione è possibile, mentre si equipara lo scippo alla rapina con una previsione di pena fino ai dieci anni, mentre si considera il furto in appartamento un’aggressione alla persona e si considera l’informazione al pubblico ministero un intralcio da posticipare il più possibile? E in quale futuro convegno ci si accorgerà di aver finito col creare sempre più pena detentiva e sempre per gli stessi soggetti ‘marginali’, a cui si dice che con ben altri strumenti occorrerebbe rivolgersi? E’ vero: le soluzioni scelte sono una mediazione rispetto a richieste più penalizzanti che da molte parti provengono. Ma in taluni terreni non c’è spazio per mediazioni: o la politica ha la capacità di dare un segnale anche sul piano culturale o finisce soltanto con assecondare gli umori momentanei e, come tale, col creare un senso comune sempre più arretrato.