Undici maggio: esplode la notizia dello spinello fumato dall’autista del disastro di Vercelli. Anche i media «progressisti» temono l’etichetta infamante – dati i tempi – di antiproibizionismo: così Repubblica dedica alla vicenda tre pagine piene, più l’apertura in prima con la foto patetica dell’orsacchiotto di peluche sul banco della classe vuota.
Ammesso e per ora non concesso che il rapporto tra droga e incidente sia confermato dai periti e poi dai giudici, lungi da noi qualsiasi intenzione di minimizzare la gravità di questa triste disgrazia. Ma allora, che tutte le analoghe disgrazie vengano trattate allo stesso modo. Nel caso dell’alcol, i media si sono convinti, pur con decenni di ritardo, a insistere sui rapporti tra ebbrezza e stragi stradali. Tuttavia persistono alcune curiose anomalie: sui tabelloni luminosi delle nostre autostrade, per esempio, anziché messaggi come «hai bevuto più di mezzo bicchiere di vino (o più di mezza bottiglietta di birra, o più di mezzo bicchierino di super-alcolico)? Fermati subito!!!», leggiamo vistosi annunci sulla gratuità del caffè nelle stazioni di servizio durante le ore notturne, «per aiutare la sicurezza». Ma se un guidatore è stanco morto e sonnolento, deve subito fermarsi e dormire per un po’. Imbottendosi di caffè, potrebbe invece entrare in uno stato di nervosismo e di scoordinamento psicomotorio che di certo non «aiuta» la sicurezza.
Ma questo è niente rispetto agli psicofarmaci – soprattutto ma non solo ansiolitici – ai quali regolarmente ricorrono milioni di italiani, ben più spesso di quanto non fumino spinelli. I foglietti illustrativi, è vero, diffidano gli assuntori dal mettersi alla guida di automezzi o dall’azionare macchinari. Ma i relativi controlli sono praticamente nulli, né capita spesso di veder dedicate tre pagine e mezzo di un grande quotidiano a un incidente provocato da un assuntore di farmaci leciti.
Sorge allora il fondato sospetto che le dizioni nei cosiddetti bugiardini servano solo a scansare le responsabilità penali e civili di produttori e prescrittori, nella remota eventualità in cui un rapporto tra farmaco e incidente venisse dimostrato. E c’è di più: purtroppo sono talora gli stessi psichiatri più propensi a battersi per gli spazi di vita e di socializzazione dei loro pazienti a prescrivere farmaci e allo stesso tempo a incoraggiare gli ammalati a non rinunciare all’uso dell’automobile. A questo punto appare sempre più vasto e possente il movimento franoso proibizionista che sta cancellando il pur cauto programma sulla droga del governo di centrosinistra. In pochi giorni, come è stato sottolineato da Luigi Manconi e Andrea Boraschi su L’Unità del 20 maggio, si sono viste e sentite gravi strumentalizzazioni mediatiche e politiche: sull’assalto al bus degli albanesi fatti di coca; sulla morte dello studente attribuita con sommesse riserve al fumo di una canna; sul sospetto che il metadone dei Sert e di Villa Maraini abbia contribuito all’ombrellata fatale inferta a Roma Termini dalla prostituta rumena. In conseguenza si moltiplicano le ritirate tattiche e strategiche della sinistra: il sindaco di Torino fa proprio il foucaultiano «sorvegliare e punire» della destra e degli americani; la ministra Turco, malamente sconfitta sul decreto della cannabis, avalla la strategia morattiana dei 34.000 kit antidroga per i test in famiglia; di Cofferati & Co. a Bologna meglio non parlare per carità di patria. E Calderoli se la ride, sfottendo il calo di consensi al governo Prodi con quattro semplici parole: tasse, canne, indulto e Bingo-Bongo.