Moltissime persone confondono la foglia di coca con la cocaina. Ma la produzione di cocaina richiede un processo chimico complesso mediante una serie di prodotti chimici, alcuni dei quali non sono prodotti nel nostro paese, la Bolivia. Ad esempio, non tutti sanno che l’Università di Harvard nel 1975 effettuò uno studio dal quale risultava che 100 grammi di foglia di coca boliviana corrispondono pienamente all’apporto dietetico raccomandato di calcio, ferro, fosforo, e vitamine A, B, C per un uomo o una donna di media corporatura. Contengono persino più calcio del latte (1789 mg, a fronte dei 1301 mg).
Tuttavia, su questo argomento disponiamo di un numero ristretto di ricerche scientifiche, probabilmente a causa dell’influenza esercitata dagli Usa che, ad esempio, si opposero alla pubblicazione della più grande ricerca globale mai effettuata su cocaina e foglia di coca, conclusa dall’Oms nel 1995. Questo studio su come sono usati la cocaina ed altri prodotti a base di coca, chi li usa, quali effetti hanno sui consumatori e sulla comunità, richiese due anni di lavoro e interessò 22 città in 19 paesi, con la partecipazione di ricercatori di fama mondiale, tra i quali anche alcuni scienziati statunitensi (sulla ricerca dell’Oms si veda Fuoriluogo, luglio/agosto 2006, ndr).
Purtroppo la resistenza opposta dagli Usa ha impedito all’opinione pubblica e alla comunità internazionale di avere un dibattito imparziale ed informato, perpetuando invece il mito della foglia di coca come una pianta esclusivamente negativa, della quale si ignorano le molte qualità positive.
L’unica ricerca scientifica che su cui poggia il bando della foglia di coca a livello internazionale è il tristemente noto “Rapporto della Commissione d’indagine sulla foglia di coca”, prodotto dall’Ecosoc nel 1950. Questo rapporto “scientifico” è il principale pilastro su cui si sono basati i successivi accordi internazionali. Esso non è solo fastidiosamente inattuale, ma anche apertamente razzista, là dove ad esempio si legge: «si reputa che l’uomo andino sia fisiologicamente e chimicamente diverso dall’uomo che vive al livello del mare», come a dire che l’unica ragione per cui i popoli indigeni usano questa antica pianta medicinale è la loro “razza”, e non le loro conoscenze, la loro cultura e le loro pratiche sociali ancestrali.
Si provi solo a immaginare cosa succederebbe se una tradizione culturale consolidata in Italia, come ad esempio quella di bere una tazza di caffè, fosse spiegata dall’Ecosoc ricorrendo alla “razza” o all’altitudine a cui vivono gli abitanti!
Fortunatamente da allora alcune cose sono cambiate, come l’adozione da parte dell’Assemblea generale dell’Onu, lo scorso anno, della Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni con voto pressoché unanime. Tale documento internazionale riconosce tra l’altro, all’art. 11, che «i popoli indigeni hanno il diritto di praticare e di rivitalizzare i propri costumi e tradizioni culturali. Questo diritto comprende il diritto a mantenere, tutelare e sviluppare le manifestazioni passate, presenti e future della loro cultura».
In questo spirito, nel 2003, l’Unesco aveva dichiarato la cultura Kallawaya una “eredità intangibile dell’umanità”. Questa cultura indigena boliviana si è specializzata in tecniche mediche e farmaceutiche pre-Inca basate su conoscenze indigene, su una profonda comprensione della farmacopea animale, minerale e botanica, e su un insieme di saperi rituali intimamente legati ai credi religiosi. Queste tecniche terapeutiche si basano non solo, ma anche, sulle foglie di coca.
Nonostante ciò, la foglia di coca continua ad essere considerata una pianta satanica, una droga, anche nelle convenzioni internazionali, e ne viene negato tutto il contenuto culturale e sociale. La foglia di coca è una parte indispensabile della civiltà andina. Essa è parte della nostra base culturale e della nostra vita sociale, proprio come lo sono il vino, il caffè o il tè in altre culture.
La Bolivia chiede un dibattito onesto, basato sui dati e sulle ricerche scientifiche, e chiede inoltre di ridiscutere la legislazione internazionale con uno sguardo alla decriminalizzazione della foglia di coca. Allo stesso tempo, essa resta estremamente ferma sulla illegalità della cocaina.
Come narra una antica leggenda Inca: quando i conquistadores stavano per vincere la battaglia sulle Ande, il Dio del Sole consegnò al guardiano del suo Tempio una pianta e gli disse: «Custodisci le sue foglie con amore, e quando sentirai dolore nel tuo cuore, fame nella tua carne e buio nella tua mente, portale alla bocca. Troverai amore per il tuo dolore, nutrimento per il tuo corpo e luce per la tua mente».
Ma l’uomo bianco avrebbe trovato il modo di stravolgere questa pianta: «Se il tuo oppressore arriverà dal nord, allora il conquistatore bianco, il cercatore d’oro, quando la toccherà, troverà solo veleno per il suo corpo e follia per la sua mente».
Noi vogliamo condividere con voi le qualità incredibili di questa pianta che ha donato al mondo uno dei primi anestetici nel XVIII e XIX secolo, ancora usato in composti chimici come i principali prodotti per il mal di gola, e che potrebbe regalare al mondo ancora molte altre qualità, come la sua capacità nutritiva incredibilmente alta. Permetteteci di mostrarvi il modo di utilizzarla senza danno, come abbiamo fatto e speriamo di continuare a fare per migliaia di anni nella regione andina, augurandoci che la scienza e la ragione prevalgano sulla discriminazione e sull’ignoranza.
Un divieto che la Bolivia non può accettare
Articolo di Redazione
LA FOGLIA DI COCA È UNA RISORSA ESSENZIALE PER LE POPOLAZIONI INDIGENE DELLA REGIONE ANDINA
LA FOGLIA DI COCA È UNA RISORSA ESSENZIALE PER LE POPOLAZIONI INDIGENE DELLA REGIONE ANDINA