Il concetto di riduzione del danno (Rdd) porta in sé due facce: una legata alla tutela dei soggetti tossicodipendenti, l’altra connessa alla cittadinanza in termini di sicurezza e salute collettiva. Questi due aspetti, che la cultura dell’astinenza ha sempre ritenuto inconciliabili, nel pragmatismo della riduzione del danno si interconnettono, mostrando la necessità di misurare l’efficacia degli interventi sanitari e sociali su entrambe le sponde.
La valutazione su dati osservabili e misurabili degli interventi è un altro aspetto controverso quanto necessario per dare validità scientifica alle pratiche. Dobbiamo ricordare che in Italia la Rdd è stata accolta con favore, anche se mai completamente attuata, dopo che le strategie fondate sull’astinenza nei servizi avevano svilito negli anni utenti e operatori in coazioni a ripetere patologiche (comunità terapeutiche-ricadute-comunità ecc.): con ricadute importanti in termini negativi sull’immagine di sé e su quella sociale del tossicodipendente e demotivanti per chi con i tossicodipendenti lavorava. Va ricordata, in vista della prossima Clat che si terrà proprio in Italia, una terza faccia della Rdd, più filosofica e culturale ma non per questo meno tangibile. I valori a cui si ispira la Rdd sono la centralità della persona, il rispetto delle scelte di vita, la cultura delle differenze e dei diritti, il valore delle relazioni e delle emozioni nel processo di cura, il diritto alla salute per tutti. Questa terza dimensione colloca la Rdd fuori da errate interpretazioni e semplificazioni di cui purtroppo questa strategia è stata vittima, che la vedono come un intervento ispirato dalla rassegnazione e da un appiattente assistenzialismo utile solo a patologie gravi.
In realtà la Rdd diventa uno strumento che reinventa la relazione operatore-utente e innova la mentalità dei Servizi, facilitando l’approccio di un target più giovane che presenta nuove forme di abuso: essa ci permette di conoscere la persona e il contesto prima di agire e, nell’azione, di porsi obiettivi realistici e valutabili.
Nel caso di abuso di alcol, senza parlare di dipendenza, il suo valore è evidente, visto che su una sostanza legale e reperibile il cui uso fa parte della nostra cultura, nessuno si sognerebbe di pretendere l’astinenza se non in casi di forte dipendenza.
Solitamente in questo caso gli obiettivi vengono tarati e gli interventi si concentrano sulle modalità d’uso e sulla promozione di un consumo critico. Gli stessi presupposti riguardano le tecniche cognitivo-comportamentali oggi molto utilizzate per curare l’abuso e la dipendenza da cocaina.
L’ampiezza del respiro di queste strategie investe in pieno il ruolo dell’operatore che sceglie di porre tra i suoi obiettivi non tanto quello di guarire o “salvare” l’altro, ma di prendersene cura rispettando i passaggi e le gradualità dei percorsi individuali e uscendo dalla mentalità “o tutto o niente” che poneva l’operatore in una preoccupante simmetria con l’impulsività del tossicodipendente.
Ringrazio per questo spazio dove ho semplicemente ricordato certi principi e certe caratteristiche della prassi della Rdd in un momento dove l’opinione pubblica, sindaci in testa, sembrano aver perso il senso di interventi che si sono dimostrati utili ed efficaci, stravolgendo la rivoluzione culturale di cui siamo stati tutti protagonisti.
Alla prossima Clat, spero avremo il tempo e gli spazi per tornare a confrontarci e a fare riemergere questa terza dimensione della Rdd, evidentemente trascurata in questi anni.