In un’epoca caratterizzata – non solo nel nostro Paese – da tendenze a un sempre maggiore intervento del diritto penale quale strumento quasi esclusivo per affrontare le più diverse emergenze sociali, occorre porre all’ordine del giorno del dibattito politico la necessità di un intervento strutturale e di ampia portata ispirato alla concreta applicazione del “diritto penale minimo”, ossia alla necessità di avviare un percorso riformatore che conduca a un nuovo codice penale.
Ridurre l’ambito del diritto penale, per prima cosa, significa affermare il principio della riserva di codice in materia penale, ovvero il principio (che era stato fatto proprio dalla Commissione Bicamerale) per cui le disposizioni incriminatrici devono essere inserite organicamente in un unico corpo normativo e non disordinatamente introdotte attraverso leggi speciali. Ma affinché l’attuazione del principio della riserva di codice si coniughi con l’effettiva riduzione dell’ambito di intervento del diritto penale, il lavoro di riscrittura del codice penale deve essere ispirato ai princìpi di tassatività e determinatezza della norma penale, di materialità e offensività dell’illecito penale, e di sussidiarietà dell’intervento penale.
Una riflessione di tale portata, al fine di non provocare reazioni sociali di rigetto nei confronti dell’intervento riformatore e di centrare l’obiettivo di legare la maggiore sicurezza con la minore sofferenza, deve al contempo indirizzare la ricerca intorno a ciò che deve essere fatto delle condotte che escono dall’area dell’illecito penale. Per affrontare seriamente e concretamente il lavoro di riforma bisogna allora porre l’attenzione sulle sanzioni e le procedure sanzionatorie non-penali, a partire da un’analisi sull’attuale configurazione e incisività delle sanzioni amministrative e del procedimento sanzionatorio-amministrativo. Occorre, cioè, prefigurare un’ampia tipologia di sanzioni, amministrative e non solo, anche e soprattutto di carattere non pecuniario; occorre prevedere reali garanzie per il cittadino nella fase interna al procedimento e la possibilità di ricorrere all’autorità giudiziaria per contestare il provvedimento con cui si commina la sanzione.
Bisogna innanzitutto ridurre la presenza incombente del sistema penale, ma anche uscire dalla prospettiva che vede quale unica sanzione penale – accanto a quella pecuniaria, che appare più logico collocare al di fuori del sistema penale – la privazione tout court della libertà personale. È il discorso sulla pena articolata e/o flessibile, che deve vivere accanto alla prospettiva della riduzione dei minimi e dei massimi delle pene previste, a partire dall’abolizione della pena dell’ergastolo. Si può così ragionare sulla possibilità di limitare la discrezionalità di intervento nella fase di esecuzione delle pene (da parte della magistratura di sorveglianza, il cui ruolo va peraltro valorizzato) trasferendo al giudice della cognizione – sulla base di precise indicazioni normative – il potere di attribuire pene differenziate e ancora, con riferimento alle lunghe pene, di delineare un percorso per passaggi intermedi dalla pena detentiva alla piena libertà del soggetto, in attuazione del principio costituzionale di reinserimento del condannato (ad esempio, prevedere al momento della condanna che la pena si articoli per un certo tempo come detenzione, per un periodo successivo come semilibertà, nella fase finale come affidamento ai servizi sociali).
Attraverso una rivisitazione del sistema delle pene si intende puntare sul recupero del concetto di effettività della pena, attraverso una riduzione del numero dei reati si vuole puntare all’effettivo recupero del principio costituzionale di obbligatorietà dell’azione penale. Ma, al contempo, occorre arrivare – ed è forse la parte più difficile del percorso riformatore – a una riscrittura delle fattispecie incriminatrici che formano la parte speciale del codice penale, a partire da una riformulazione della gerarchia dei beni e dei valori da ritenere meritevoli di tutela penale, sulla base innanzitutto delle indicazioni contenute nelle norme costituzionali.
“Antigone” ha avviato un percorso finalizzato alla elaborazione di materiali per la realizzazione del nuovo codice. Grazie al coordinamento di Sergio Moccia, Luigi Ferrajoli e Alessandro Baratta, si è dato vita a tre gruppi di lavoro: il primo, dedicato alla parte generale del codice e alle tecniche costituzionalmente compatibili di tutela penale dei beni e dei valori ritenuti rilevanti; il secondo, inteso alla raccolta delle disposizioni penali attualmente contenute in una messe di leggi speciali, a una prospettazione di tagli da operare con radicalità ben maggiore rispetto agli attuali interventi di depenalizzazione, a partire dall’intera materia dei reati contravvenzionali e alla formulazione delle nuove fattispecie incriminatrici; il terzo, rivolto alla definizione di politiche non penali di tutela e di promozione dei diritti. Il percorso intende snodarsi attraverso una serie di seminari da dedicare alle diverse aree di beni e valori da tutelare penalmente. Le aree individuate sono quelle dei diritti fondamentali (la vita, l’incolumità fisica, le libertà degli individui), dei diritti patrimoniali, del diritto all’ambiente e alla salute, i rapporti economico-sociali, le funzioni costituzionali, le funzioni amministrative.
Si tratta, in definitiva, di ridurre l’area del penale per ridurre l’esclusione e costruire una nuova stagione di certezza della risposta penale. Non si può fare a meno, infatti, di notare che il rapporto esistente tra il trattamento penitenziario differenziato e la discrezionalità degli operatori, ovvero la flessibilità delle risposte sul piano penale, acuisce la differenziazione del trattamento in relazione alle caratteristiche dei fatti-reato e in particolare alle condizioni sociali dei soggetti a cui l’intervento si rivolge. Da un lato, l’incremento delle fattispecie incriminatrici (e quindi del numero dei fatti-reato) determina sul piano dell’effettività una discrezionalità dell’azione penale (dovendosi concretamente scegliere quali fatti realmente perseguire, non essendo possibile perseguirli tutti), dall’altro, l’aumento del numero dei detenuti condannati o in attesa di sentenza definitiva per reati contro il patrimonio e per quelli connessi alla legge sulle droghe, unito alla sempre più massiccia presenza di detenuti immigrati, disegna oggi un quadro allarmante. Allo stesso tempo, e conseguentemente, assistiamo alla mancata applicazione effettiva delle sanzioni penali per alcune categorie di delitti: si pensi agli illeciti societari, ai reati fallimentari, ai reati contro la pubblica amministrazione.
Anche per questo, è sempre più urgente un intervento di trasformazione e riforma radicale per la realizzazione concreta di alcuni fondamentali principi costituzionali
* Associazione Antigone