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Un bel sasso l'ha gettato anche Veronesi. Amato ha cercato di
ridimensionarlo come "tecnico", in nome della tradizionale
"separatezza" della politica. Ma così facendo ha paradossalmente
esaltato la lezione di metodo, tutto politico, che ci ha dato il
ministro: ossia che nessuna questione può essere ignorata o
stravolta in nome dell'ideologia o dei cattivi compromessi, ma va
affrontata nel merito, sulla base delle evidenze scientifiche. E
il clima della conferenza ne ha risentito, in bene.
Certo, l'assenza di Amato ha messo a nudo la debolezza del
governo, ed è risibile che il dottor Sottile si sia trincerato
dietro la constatazione, peraltro ovvia, che siamo agli sgoccioli
della legislatura. E' un fatto, o meglio un misfatto politico che
Amato non sia venuto a dar conto di alcune riforme importanti non
attuate, come la depenalizzazione. La convivenza difficile fra le
forze del centrosinistra è sotto gli occhi di tutti. Ma lo scacco
dei vari governi succedutisi sta nel non aver mai elevato le
droghe a tema degno di un confronto trasparente fra le diverse
culture della maggioranza, condizione sine qua non per
giungere alle pur necessarie mediazioni.
Occorre dar atto a Livia Turco, ritrovatasi sola nel fuoco di un
conflitto vero, di essersi assunta le sue responsabilità
politiche, tentando di dare alcune risposte. Insufficienti, ma
significative. Come il riconoscimento alla riduzione del danno
della dignità di una cultura che non elude il fatidico tema della
sicurezza, ma lo declina all'opposto dell'approccio di "legge e
ordine": almeno non si parlerà più delle comunità-carcerini,
promesse della ministra.
Alla fine il dato più incoraggiante è la constatazione di una
cultura più avanzata fra gli operatori, che si riconoscono ormai
come una "comunità" intorno ad alcune idee guida e pratiche di
riduzione del danno. Rispetto a Napoli, le posizioni oltranziste
alla Muccioli sono rimaste ancora più isolate. Non è poco,
pensando ai tempi incerti della politica che ci aspettano.