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il manifesto
30 NOVEMBRE 2000


COMMENTO
Presidente, rifletta ancora
GRAZIA ZUFFA


Vorrei chiedere al ministro Fassino se è consapevole delle ricadute culturali e politiche della linea che ha presentato a Genova, condensata nello slogan "decarcerazione dei tossicodipendenti senza depenalizzazione". Innanzitutto ciò significa rimangiarsi gli impegni presi alla precedente conferenza. Per giustificare il cambiamento di rotta, la ministra Turco ha affermato che a Napoli la depenalizzazione non era "condivisa da tutti" (a differenza della carcerazione). Non è vero. Essa era invece scaturita all'unanimità dalla conferenza come proposta di mediazione, rispetto ad ipotesi più avanzate, come la legalizzazione delle droghe leggere, sostenuta peraltro da molti. A riprova sta il fatto che per ben due volte, durante la discussione in parlamento della legge sulla depenalizzazione dei reati minori, il governo chiese di non affrontare il tema delle droghe perché stava predisponendo un progetto di riforma complessivo. Dunque la nuova linea è una svolta politica e occorre darne conto come tale, in nome della trasparenza.
Ma esaminiamo più nel merito la proposta di Fassino: innalzare il tetto delle pene (attualmente di quattro anni), al di sotto delle quali sia possibile l'affidamento in prova dei detenuti tossicodipendenti. Una premessa. La pena come incentivo alla cura, e il carcere come via crucis alla "redenzione terapeutica" è stata la filosofia di fondo della legge Jervolino-Vassalli. Durante la discussione parlamentare la sinistra all'opposizione denunciò il rischio che l'approccio custodiale e punitivo del carcere "contaminasse" il circuito terapeutico (e non viceversa). Rischio che in questi anni è divenuto una realtà, come ci dicono le cifre: l'applicazione dell'affidamento in prova non ha mai diminuito il numero dei detenuti tossicodipendenti, saldamente attestati intorno alla ragguardevole cifra di oltre 14mila soggetti. Ossia il numero dei tossicodipendenti sottoposti a trattamento in alternativa al carcere si è aggiunto a quelli in detenzione, creando un enorme circuito custodiale. In parole povere la "decarcerazione" è una parola che nei fatti tradisce se stessa. Ampliare l'affidamento in prova non serve se non è accompagnato da una riduzione dell'impatto penale della legge. Solo così si può sperare di contenere il ricorso al carcere.
Ora, non solo Fassino dichiara decaduta l'ipotesi di una seria riforma della Jervolino-Vassalli, ma addirittura ne accentua la filosofia, citando solo le comunità terapeutiche come alternativa al carcere. Forse il ministro non sa che oggi i tossicodipendenti possono essere affidati anche ai servizi per programmi di inserimento sociale. O forse lo sa, ma gli sembra che le comunità offrano maggiori garanzie "custodiali" e di "redenzione dalla droga". Per l'appunto.
E' una linea ben diversa da quella tracciata da Veronesi, di "accettazione e tolleranza" del consumo e di riduzione dei danni della proibizione. Ad Amato sta una parola risolutiva, ma il presidente del consiglio neppure si presenterà all'assise di Genova. Alla prima Conferenza di Palermo Amato rinnegò la linea punitiva della legge del '90, e si dichiarò nettamente a favore della depenalizzazione. Se, ben sette anni dopo, e per di più a capo di una maggioranza di centro sinistra, egli non avesse il coraggio quantomeno di sostenere la sua posizione di allora, sarebbe grave. Ci rifletta ancora, dottor Sottile.


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