Levi Montalcini: il perchè della mia firma antiproibizionista

«Bisogna liberalizzare per sottrarre i giovani al mercato illegale»

Alla vigilia della sessione speciale dell'assemblea generale dell'Onu sulla droga del giugno ' 98, il premio Nobel Rita Levi Montalcini ha firmato, assieme ad altre 400 personalità di differenti paesi della terra, una lettera aperta al segretario delle Nazioni Unite, chiedendogli di porre fine alla "Guerra alla droga".
In questa intervista rilasciata il 9.6.98 al Corriere della Sera, la scienziata spiega le motivazioni della sua adesione.

«Intanto, una premessa. Io ho firmato. Ma ho avuto tanti ripensamenti. E sempre con tormento. Come si fa a essere certi di non sbagliare parlando di droghe e narcotraffico?
Diciamo che in questo campo si può tentare di scegliere il male minore, perché forse la soluzione migliore non c'è».

Professoressa, non la preoccupa l'idea che i giovani possano comprare liberamente la marijuana e fumarla senza divieti?

«Certo, mi allarma. Ma oggi accade comunque per tanti giovani che diventano oggetti e vittime dei trafficanti. Si tratta di rompere il mercato... So che da tanti l'opinione non è condivisa, ma forse sarebbe una cosa buona».

Non ritiene sufficiente il programma di Arlacchi di distruggere i campi di coltivazione in Colombia o in Perù?

«Condivido la strada perseguita dalla conferenza dell'Onu. Ma forse non basta. Siamo davanti a un mostro che si rigenera sempre in forme nuove. All'Onu stanno facendo un buon lavoro, però ai coltivatori bisognerà garantire la possibilità di vivere senza seminare coca. Se non daremo da mangiare a chi la coltiva, non riusciremo a distruggere un bel niente. E' come da noi, nel Mezzogiorno, dove si dovrebbe provare a ridurre la devianza con il lavoro. Insomma, si tratta di assicurare occupazioni e salari alternativi a coltivatori e manovalanza della droga».

Perché teme che anche queste misure non bastino?

«Il pericolo purtroppo non arriva soltanto dalle piantagioni di coca. Infatti ci sono ormai delle droghe sintetiche, quelle prodotte in laboratorio, usando le provette dei chimici, non le terre dei colombiani. Pensate al crack. Come lo combattiamo?».

Lo chiedo a lei.

«Le rispondo che non basta proibire. E' una di quelle questioni che riguarda la testa degli uomini. Per questo, alla fine, dico "liberalizzare". Per confrontarmi e capire, qui a Palermo ne ho parlato con un uomo che stimo, Caselli. E l'ho trovato dubbioso. Così gli ho esposto il mio parere. Sì, alla fine dei miei anni, la penso un po' come Pannella: la liberalizzazione comporterebbe comunque una drastica riduzione del mercato delle droghe leggere...».

Qual è il rischio più grande?

«La mia preoccupazione è che la libertà di comprare la marijuana possa trasformarsi per tanti giovani nell'apertura di una porta verso le droghe pesanti, e... accidenti! Lo vede che dico una cosa, e subito mi vien da dire il contrario? E' tremendo misurarsi con questo tema».

Allora, sì al commercio legale di droga, con mille dubbi?

«E con mille controlli. La persona che accede deve essere controllata. Per aiutarla a venirne fuori, non per schedarla».

Controlli anche per chi consuma droghe leggere?

«Eh no. Se liberalizzeremo, vuol dire che dovremo lasciare la libertà di usare quelle sostanze, pur coscienti del rischio di pagare un prezzo».

La marijuana come la birra?

«Sì, come una bibita. Ma io parlo di un prezzo minimo che possiamo pagare per le droghe leggere. Perché è diverso per quelle pesanti che non dovranno comunque essere acquistate come il sale o l'aspirina».

Lei sa che su questo piano il fronte cattolico e i vescovi dicono un no secco...

«Vede io sono laica, ma profondamente religiosa nell'animo. E questo significa credere nei valori, come dicevano Einstein e Spinoza... Io sono stata sempre contraria a tutti i proibizionismi, per scelta ideologica. Io provo orrore per gli uteri in affitto, per i bimbi venuti dal freddo, per la clonazione animale, per gli aspetti pericolosi della bioetica, ma non dico che bisognerebbe proibire... Magari si dovrebbero scoraggiare e rendere difficili certi esperimenti... Ma senza proibire. Perché a nulla vale proibire se l'uomo non capisce. Non fare, o come dicono i giovani per la droga "non farsi", deve diventare una scelta consapevole».