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PROIBIZIONISMO

Salute, un diritto oscuro per chi usa droghe

GIANCARLO ARNAO

C hi può stabilire, e come, quello che è bene o male per la salute di una persona in una determinata situazione? La legge proibizionista, come è noto, basa il suo sistema sanzionatorio esclusivamente sulle sostanze, e ignora ogni altro dato. Quindi non è in grado di valutare campiutamente l'eventuale minaccia alla salute portata dall'uso di droga.

Ma la salute come viene comunemente intesa (cioè assenza di malattia) viene spesso conseguita con l'uso delle "medicine". Fra le "droghe" e le "medicine" esiste un importante dato in comune: entrambe agiscono attraverso un meccanismo farmacologico. In più, alcune droghe, come la morfina e l'eroina, vengono usate come medicine: il Rapporto 1998 dell'Incb (l'agenzia Onu che raccoglie i dati sulla situazione mondiale) ha definito morfina, codeina e altri oppiacei farmaci "indispensabili per alleviare le sofferenze umane" la cui "disponibilità è un problema prioritario di sanità pubblica". La contiguità tra "droghe" e "medicine" è dimostrata anche dal fatto che diverse malattie e disturbi mentali vengono curate con medicinali psicoattivi (tranquillanti, ipnotici, antidepressivi) che hanno effetti analoghi a quelli delle droghe illegali.

Tuttavia, esiste nella nostra cultura una rigida contrapposizione fra le cosiddette "droghe" e le "medicine": delle prime si dà per scontato che apportano piacere ma sono dannose alla salute e viceversa per le seconde. In definitiva, il concetto di "droga" è considerato quasi antitetico a quello di "medicina". Questa idea è collegata a un approccio prevalente nella medicina: quello settoriale e iperspecialistico, che propone una terapia finalizzata al perfetto funzionamento degli ingranaggi-organi componenti della macchina-corpo, e che identifica la condizione di "salute" con l'"assenza di patologia". Questo tipo di approccio ignora l'umore, inteso come assetto complessivo della psiche, che comprende i vissuti di "piacere", "benessere", "malumore", ecc.

D'altra parte, nella concreta realtà esistenziale dei singoli individui, i confini fra "piacere", "benessere" e "salute" sono estremamente labili. L'influsso determinante dell'umore sulla sfera somatica è stato ampiamente riconosciuto dalla medicina ufficiale, laddove si è teorizzato il meccanismo "psicosomatico" nella patogenesi di una lunga serie di malattie.

Nella nostra cultura sono enormemente diffuse alcune sostanze che non sono definite né "droghe" né "farmaci", ma ne condividono una fondamentale caratteristica: l'essere assunte per ottenere effetti psicoattivi. Si tratta dei cosiddetti "intossicanti voluttuari", come tabacco, the e caffè (usati come stimolanti) e alcolici (usati come depressivi-euforizzanti). Rispetto a queste sostanze, l'opinione corrente ha un atteggiamento del tutto diverso da quello relativo alle "droghe". Ad esempio, si considera assolutamente normale l'uso degli alcolici ai pasti e anche le ubriacature in occasioni "speciali". Il fatto che gli intossicanti voluttuari siano usati da una vasta porzione della popolazione adulta dovrebbe indurci a indagare i motivi per cui la gente è spinta a sperimentarne gli effetti: motivi che vanno probabilmente ricercati nella vasta terra inesplorata che si frappone fra lo stato di "salute" inteso come "assenza di malattia" e le esperienze del "benessere", del "piacere" e delle "alterazioni della coscienza".Se tutte le sostanze illegali fossero ugualmente nocive, e quelle legali lo fossero comunque meno, si potrebbe obiettare che la sostituzione di una droga illegale con una legale non determinerà un aumento dei rischi sanitari. Ma le cose non stanno così. In realtà, fra le droghe illegali sussistono grosse differenze di tossicità: ad esempio, l'oppio è certamente meno tossico dei suoi derivati, come codeina, eroina e morfina; a sua volta, un oppiaceo sintetico come il Fentanyl è 30 volte più efficace e più tossico dell'eroina. Inoltre, le droghe più potenti e più tossiche sono anche le più remunerative per i trafficanti, avendo effetto (e prezzi) più elevati a parità di ingombro: di conseguenza, il proibizionismo, punendo con la stessa severità l'oppio, i suoi dierivati e gli oppiacei sintentici, ha di fatto incoraggiato la diffusione dei prodotti più potenti e più tossici. Infatti nei paesi asiatici, in cui l'uso dell'oppio (fumato o ingerito) era una antica tradizione, l'avvento del proibizionismo ha incoraggiato la sua sostituzione con morfina ed eroina per iniezione, determinando una drammatica diffusione dell'Aids.

D'altra parte, la classificazione delle droghe proibite formulata dalla Convenzione unica non è correlata a una valutazione scientifica dei rischi sanitari, ed è addirittura in contrasto con le tabelle dell'Oms. Di conseguenza, l'effetto deterrente della proibizione può determinare un ricorso a droghe legali molto più dannose: ad esempio, la sostituzione della cannabis con alcol determina innegabilmente un aumento di rischi per la salute.

A questo proposito, va ricordato che l'unico caso di legalizzazione (di fatto e di diritto) della cannabis negli ultimi decenni, quello dell'Alaska (in vigore dal 1975 al 1990), è stato motivato dalla Corte suprema di quello stato da esigenze di carattere sanitario. Infatti, la Corte ha considerato che le conseguenze negative provocate dall'aclolismo in Alaska (elevata mortalità, violenza su familiari, abuso di minori e criminalità) sono di gran lunga superiori a quelle della cannabis - riconoscendo che l'uso di cannabis può vantaggiosamente sostituire quello di alcol.

Certamente, nel caso della cannabis il proibizionismo tocca i vertici delle sue contraddizioni. Chi usa cannabis viene punito semplicemente per motivi "culturali": perché ha scelto di far funzionare la testa in un modo "diverso" da quelli che sono ritenuti accettabili dalla maggioranza delle persone. Significativamente, questo argomento è stato formulato nella maniera più puntuale da una enciclica papale: "Esiste, è vero, una netta differenza fra il ricorso alla droga e il ricorso all'alcol: mentre un uso moderato di quest'ultimo come bevanda non urta i principi morali, solo un uso abusivo è condannabile, al contrario l'uso della droga è sempre illecito, perché implica una rinuncia, ingiustificata e irragionevole, a pensare, a volere e ad agire come persona libera" (Giovanni Paolo II: "Dolentium Hominum", 19,vii, 1992, n. 1). Il problema non investe quindi il diritto alla salute, ma quello di scegliere il tipo di sostanza e di modificazione dell'umore che la gente preferisce: un diritto alla libertà personale sancito dalla Costituzione italiana (Art. 13 e 2) e dall'art. 4 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789, secondo cui la libertà consiste nella "possibilità di fare tutto ciò che non danneggia gli altri; cosicché l'esercizio dei diritti naturali di ciascuno ha soltanto il limite di garantire agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti".

tratto da il manifesto

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