La fattispecie della lieve entità introdotta nel Testo Unico sugli stupefacenti sin dalla sua emanazione nel 1990, al comma 5 dell’art. 73, ha lo scopo di attenuare il regime sanzionatorio molto severo stabilito per le condotte illecite previste dai commi precedenti del medesimo articolo, nel caso in cui, «per i mezzi, per le modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze», i fatti descritti negli stessi commi siano di «lieve entità».
Proposta di legge C. 2160 Molinari
Nel merito della proposta Molinari, essa prevede un brusco innalzamento delle pene del comma 5 dell’art 73, con il risultato che una fattispecie identificata come di “lieve entità” viene ad essere punita con un minimo di pena superiore a quello previsto per reati ordinari, di cui al comma 4 dello stesso articolo (sostanze in Tabella II). Cioè il reato di colui che nella infinita sequenza di azioni prevista dalla legge, ovvero: “coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope” cosiddette leggere, cioè i derivati della cannabis, in maniera che NON possa essere considerata di lieve entità, verrebbe punito con una pena da 2 a 6 anni, mentre se la proposta Molinari fosse approvata colui che agisse con modalità ascrivibili alla lieve entità sarebbe punito con una pena da 3 a 6 anni. Non possiamo che essere in disaccordo con tale irragionevole prospettiva.
Qui il punto dell’irragionevole sproporzione della pena è lampante, ma è l’intera attuale legislazione sulle droghe che risulta sin dalla nascita incoerente, per eccesso, con il sistema penale italiano. Del resto sul tema della proporzionalità delle pene in materia di droghe è dovuta intervenire la Corte Costituzionale[1], la quale ha dichiarato sproporzionata la pena minima di otto anni di reclusione per i fatti di non lieve entità aventi a oggetto le droghe pesanti. E già oggi le condotte punite come fatti di lieve entità coinvolgono moltissime persone al confine fra lo spaccio e la detenzione per uso personale.
Va chiarito che le convenzioni internazionali non pongono alcun obbligo di punire penalmente i reati minori legati alla violazione delle norme sulle sostanze controllate. Recentemente (marzo 2019) una task force delle agenzie ONU che si occupano di droghe ha prodotto un documento di analisi dell’applicazione nel mondo delle normative discendenti dal sistema delle convenzioni internazionali sulle sostanze controllate, che oltre a confermare quanto sopra, afferma che “l’uso eccessivo della reclusione per reati di droga di natura minore è effettivamente inefficace nel ridurre la recidiva, oltre ad avere un effetto sproporzionato sulla salute e sul benessere degli arrestati per reati minori. Sovraccarica anche i sistemi della giustizia penale, impedendo loro di affrontare efficacemente i reati più gravi.”[2]
La proposta c. 2160 inoltre, intende rendere obbligatorio l’arresto in flagranza anche per i casi di lieve entità, che sommati alla previsione di pene aumentate andrebbero ad ingolfare ulteriormente il lavoro delle forze dell’ordine, e l’affollamento delle carceri. Una soluzione irricevibile se pensiamo che già adesso le carceri italiane sono in uno stato perenne di sovraffollamento, e nemmeno le pur significative misure di alleggerimento sperimentate per l’emergenza covid-19 sono riuscite ad ovviare alla situazione.
Assumendo l’obiettivo della proposta Molinari, ovvero che tutti gli accusati di spaccio entrino e restino in carcere, bisogna quindi fare i conti con la realtà dei fatti. Dovremmo quindi ipotizzare che buona parte dei 35.745 segnalati all’Autorità Giudiziaria dalle forze dell’ordine nel corso del 2018[3] siano inseriti nei circuiti penitenziari portando al collasso del sistema giudiziario e penitenziario italiano. Risultato che si avrebbe anche se questo valesse solo per un terzo di questi.
Ogni anno Forum Droghe in collaborazione con numerose altre associazioni ed organizzazioni pubblica il Libro Bianco sulle droghe[4], che misura gli effetti sul sistema penale della normativa sulle droghe, il testo unico 309/90 il cui articolo 73 è oggetto di questa consultazione.
A partire dai dati vanno sfatati alcuni miti. Non è vero che gli spacciatori non siano in carcere. È vero al contrario che le nostre prigioni sono piene di spacciatori (per art.73). Nel solo 2018 sono stati 14.118 gli ingressi in carcere per violazione dell’art. 73, pari al 30% degli ingressi totali. Mentre il 35% degli ingressi sono relativi a persone con problemi droga-correlati. Questi dati confermano che la legge sulle droghe è il principale veicolo di ingresso, diretto o indiretto, nelle carceri italiane.
In Italia circa il 35% dei detenuti è in carcere per reati legati alla normativa sulle droghe. Siamo primi in Europa per detenzioni legate alle droghe: la media europea è al 18%, mentre nel mondo, i ristretti per droghe rappresentano il 20% della popolazione detenuta.
Dei detenuti presenti al 31.12.2018 per droghe, la stragrande maggioranza sono “pesci piccoli” (14.579), pochi quelli condannati anche per reato associativo (5.488 che sommano anche l’art. 74, quello relativo alla “Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope”) pochissimi, 940, i detenuti per solo art. 74. L’impressione che siano proprio i grandi narcotrafficanti che mancano in carcere, nonostante lo sforzo quotidiano delle forze dell’ordine.
Fra l’altro nella nostra esperienza[5] moltissimi casi relativi al comma 5 dell’art 73, vengono riconosciuti in giudizio, solo dopo l’arresto e la traduzione in carcere, ovvero vi è una diffusa mala applicazione della legge. In particolare le forze dell’ordine privilegiano la contestazione dei reati più gravi quali quelli del comma 1° e 4° che hanno l’obbligo di arresto, invece che riconoscere la lieve entità anche quando questa è evidente per le circostanze e le quantità di sostanze sequestrate. Vanificando così gli effetti benefici del comma 5°, che permetterebbero ridurre al minimo l’ingresso in carcere, in fase cautelare, processuale ed esecutiva.
Inoltre ad un osservatore attento i numeri Istat indicano che 1 processo su 2 per droghe trova un colpevole condannato, contro un rapporto di 1 a 10 per i processi per reati contro la persona o il patrimonio. Un dato eclatante che andrebbe maggiormente approfondito, e che dimostra che “gli spacciatori non la fanno franca”.
Rispetto all’effetto dell’inasprimento delle pene e dell’equiparazione fra le sostanze, varrebbe la pena soffermarsi ad analizzare gli effetti sull’attività di repressione, sulla detenzione e sul consumo di sostanze della parentesi in cui è stata in vigore la Fini-Giovanardi 2006-2014.
Integrando i dati contenuti nel libro bianco sulle droghe[6], quelli contenuti nelle relazioni della Direzione Centrale Servizi Antidroga[7] e della ricerca sui consumi nella popolazione generale IPSAD Italia[8] (condotta dal CNR) si evince che nel periodo di vigenza della Fini-Giovanardi (e quindi di equiparazione totale delle condotte anche per sostanze diverse e di pesante inasprimento delle pene) sono aumentate le operazioni antidroga per cannabis e i suoi derivati, diminuite quelle nei confronti di sostanze ben più pericolose come cocaina ed eroina, mentre i consumi sono rimasti sostanzialmente stabili, salvo negli anni più recenti un ritorno dell’eroina. In compenso le carceri italiane hanno vissuto il periodo di peggior sovraffollamento della storia repubblicana, guadagnandosi la condanna della CEDU (Sentenza Torreggiani).
Non solo questo. Se una conseguenza c’è stata, è stata quello dell’unione di due mercati (sostanze leggere e pesanti) che prima erano sostanzialmente divisi, e che ora sono indistinguibili con ulteriori rischi per i consumatori di cannabinoidi che si sono improvvisamente trovati a contatto con nuove e più pericolose sostanze disponibili.
Quindi non vi è stato alcun effetto deterrente rispetto ai consumi, men che meno rispetto all’offerta di sostanze, mentre il sistema penale e penitenziario è stato messo ulteriormente in crisi. Sui consumi indifferenti alla legislazione vale la pena di citare gli studi di Peter Cohen[9], che tendono a dimostrare l’impossibilità di governare fenomeni sociali, come il consumo di sostanze, unicamente con le norme penali. Le organizzazioni criminali semplicemente hanno sostituito la “manovalanza di strada” mano a mano che questa veniva arrestata. Come più volte ricordato da LEAP[10], l’organizzazione internazionale di appartenenti alle forze dell’ordine che si batte per la riforma delle politiche sulle droghe a livello mondiale, mentre l’arresto di un ladro ha un effetto diretto sulla diminuzione dei crimini, l’arresto di uno spacciatore semplicemente libera un mercato che può essere conteso da altri.
Il fallimento delle attuali politiche sulle droghe non è solo negli effetti “indesiderati”, ma anche nella constatazione dell’assoluta inefficacia delle strategie repressive messe in campo a livello internazionale e a cascata nazionale sul mercato delle sostanze illecite.
“I mercati delle droghe si stanno evolvendo a una velocità senza precedenti. La gamma di sostanze e combinazioni disponibili per gli utenti non è mai stata più ampia e le quantità prodotte non sono mai state maggiori. La coltivazione e la produzione di eroina e cocaina hanno raggiunto livelli record, le droghe sintetiche continuano ad espandersi e il mercato delle nuove sostanze psicoattive (NPS) rimane ampiamente diversificato con una crescente interazione con i mercati tradizionali delle droghe.”[11]
Proposta di legge C. 2307 Magi
Per le considerazioni fin qui esposte siamo invece molto favorevoli alla proposta 2307, Magi ed altri, che trasforma il comma 5, 5 bis e 5 ter in un articolo autonomo della legge, il 73 bis. Questo permette di rimarcare il valore di fattispecie autonoma del fatto di “lieve entità”, che deve essere trattata come misura a sé stante, aumentando la chiarezza nell’applicazione.
Oggi si viene tradotti in carcere anche quando questo non è previsto dalla norma. Con un articolo autonomo sarà più facile l’applicazione della lieve entità con gli evidenti benefici a carico del lavoro delle strutture carcerarie che vengono impegnate troppo spesso nel fenomeno delle “porte girevoli” fra ingressi e scarcerazioni.
Con questa distinzione sarà anche più semplice ricavare i dati relativi al fenomeno nella sua dimensione reale. Oggi infatti non abbiamo alcun dato pubblico riguardo alla distinzione per tipologia di reato dei ristretti per art. 73.
Nonostante siamo convinti della necessità di arrivare alla regolamentazione legale delle cannabis, siamo oggi favorevoli alla distinzione inserite della proposta Magi delle pene differenziate a seconda della tipologia di sostanza rinvenuta. In primis perché spesso i consumatori di sostanze cosiddette leggere usano la cessione e il piccolo scambio, anche a fronte di scambio di denaro, per garantirsi le sostanze stupefacenti per uso personale. Fenomeno che vale anche per le droghe pesanti, ma che nell’attuale indifferenziazione ha favorito fenomeni di piccolo spaccio dedicati maggiormente alle sostanze cosiddette pesanti, che garantiscono maggiori guadagni, ma che presentano maggiori rischi per la salute.
Per questo assumono ancora più valore i commi 5 bis e ter, che tengono in considerazione la condizione di persona dedita al consumo, o con problemi di dipendenza patologica, riconoscendo nel fatto di lieve entità un comportamento legato alla propria condizione, favorendo così i lavori di pubblica utilità, presso realtà del terzo settore ed in attività a per la collettività. Nel 2019 negli istituti penitenziari italiani erano presenti quasi 17000 persone con problemi droga correlati pari a quasi il 28% dei detenuti, una percentuale che è in costante aumento e che mette a dura prova i servizi sanitari. Una cattiva condizione di salute psico fisica e la detenzione, in particolare in situazioni di sovraffollamento, non sono un binomio vincente, prova ne sia l’indicatore sul consumo di farmaci all’interno degli Istituti. In particolare quello degli antidepressivi che è circa il doppio rispetto alla popolazione libera. Ed il tragico numero dei suicidi sia fra le persone detenute che fra i membri della polizia penitenziaria. La condizione di “tossicodipendente” aggrava ancora maggiormente la condizione di disagio. Per questo tutte le misure che favoriscono le misure alternative alla detenzione, in particolare per persone con problemi di dipendenza, sono da favorire e incentivare.
Il comma 4 del proposto art 73 bis, è coerente con quanto espresso dalla Corte suprema di Cassazione a sezioni unite Udienza del 19/12/2019 che ritiene che “devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore“. La completa decriminalizzazione della coltivazione di cannabis ad uso personale è a nostro avviso una misura minima, che però da un lato consentirebbe di dare seguito legislativo ad una linea giurisprudenziale oggi prevalente nelle aule dei tribunali, dall’altro farebbe venir meno l’insensatezza per la quale colui che per il proprio esclusivo consumo personale decide di non finanziare le narcomafie coltivando in casa un numero limitato di piante rischia molto di più di chi si rifornisce dal mercato illegale. Questo di fatto mette in maggiore pericolo i consumatori, avvicinandoli al mercato criminale e a sostanze più pericolose.
Va sottolineato come la repressione del traffico di stupefacenti in Italia si è particolarmente concentrata su hashish, marijuana e piante di cannabis. Basti pensare che più del 90% dei sequestri nel 2018 hanno riguardato queste sostanze. Inoltre le segnalazioni dal 1990 alla fine del 2019 ai sensi dell’art 75 per il possesso di sostanze stupefacenti per uso personale, sono state più di 1.300.000 per il 73% per uso di cannabinoidi, 900.000 persone. Malgrado questo ingentissimo sforzo e uso di risorse in operazioni di polizia, denunce penali o invii ai servizi, i consumi di queste sostanze si è sempre mantenuto costante, e si calcola che un terzo della popolazione tra i 15 e i 64 anni abbia fatto uso di cannabis almeno una volta nella vita[12]. A fronte di un fenomeno sociale di così grandi dimensioni, è evidente per le ragioni già addotte che l’approccio repressivo sia dannoso, oltre che inefficace.
Roma, 9 giugno 2020
Forum Droghe, fondata nel 1995, si occupa di politiche sulle droghe a livello nazionale ed internazionale. È membro dell’International Drug Policy Consortium e della Coalizione Italiana per i Diritti e le Libertà Civili ed è ONG accreditata con status consultivo all’ONU. Fuoriluogo è la testata edita da Forum Droghe.
La registrazione video dell’audizione sulla lieve entità
NOTE
[1] Corte Cost. n. 40 del 23 gennaio 2019, depositata in data 8 marzo 2019, Rel. Lattanzi, Est. Cartabia.
[2] UN system coordination Task Team on the Implementation of the UN System Common Position on drug-related matters, What we have learned over the last ten years: A summary of knowledge acquired and produced by the UN system on drug-related matters, Marzo 2019
[3] Relazione Annuale D.C.S.A. 2019 https://antidroga.interno.gov.it/temi/report/relazioni-annuali-dcsa/
[4] Decimo Libro Bianco sulle droghe, di Grazia Zuffa, Franco Corleone, Stefano Anastasia, Leonardo Fiorentini, Marco Perduca. 2019 ISBN: 9788831631914
[5] A questo proposito sono numerose le ricerche effettuate fra cui quella recentemente promossa dal Garante regionale dei diritti dei detenuti della Toscana Franco Corleone, e pubblicata dalla Fondazione Michelucci Press, dal titolo Droghe, i danni certi. 30 anni di leggi punitive. Gli effetti sulle carceri in Toscana#, fra gli autori la dott.ssa Katia Poneti e Massimo Urzi.
[6] Vedi nota 4
[7] Vedi nota 3
[8] Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, IPSAD® Italian Population Survey on Alcohol and other Drugs https://www.epid.ifc.cnr.it/project/ipsad/
[9] Peter D.A. Cohen, Hendrien L. Kaal (2001), The irrelevance of drug policy. Patterns and careers of experienced cannabis use in the populations of Amsterdam, San Francisco and Bremen. Amsterdam, CEDRO. http://www.cedro-uva.org/lib/cohen.3cities.html
[10] Law Enforcement Action Partnership https://lawenforcementactionpartnership.org
[11] Vedi nota 2
[12] Dati Ipsad Italia 2017 Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia anno 2018 (dati 2017)