Tra gli allarmismi strillati dai titoli dei media e da qualche sindaco e i dati sui consumi presentati dalla relazione al Parlamento su droghe e dipendenze, non c’è sintonia. E’ vero che il consumo di qualche sostanza, legale o illegale, è un fenomeno sociale diffuso e culturalmente radicato, tanto che la gestione repressiva di questi comportamenti sociali appare sempre più ridicolmente inadeguata, ma è anche vero che le cifre parlano di una sostanziale stabilizzazione dei consumi, con l’eccezione della cannabis: il consumo abituale di cocaina – il grande allarme sociale del momento – risulta stabile, dal 2001, è aumentato solo il consumo sperimentale e sporadico, di chi consuma da 1 a 5 volte l’anno: che non è dunque un’abitudine e difficilmente incide negativamente sulla vita personale e sociale. Sono queste le persone che si vorrebbe reprimere e su cui si vorrebbe scaricare la responsabilità del mercato illegale?
Flessione anche nei consumi abituali di alcool e tabacco. Dunque, l’uso sperimentale diffuso e l’incremento del policonsumo suggeriscono semmai l’urgenza di adeguare ai nuovi stili di consumo politiche di informazione, prevenzione, limitazione dei rischi mirate a far sì che da quella sperimentazione non si passi ad un uso problematico.
Ciò che invece è aumentato esponenzialmente sono segnalazioni alle Prefetture e comminazione di sanzioni dopo il colloquio di giovani e giovanissimi detentori di cannabis, denunce e incarcerazioni, a riprova che la legge Fini Giovanardi continua paradossalmente a fare il suo mestiere. E che una ingente parte delle risorse viene gettato in repressione inutile del consumo e del piccolo spaccio spesso gestito da consumatori. Interessanti i dati della Relazione sui costi sociali del consumo di sostanze illegali: i 2,7 miliardi che se ne vanno in repressione sono una somma enorme: non sarebbe tempo di investirla in prevenzione, informazione e servizi? E anche quella perdita di produttività sociale stimata in 1,9 miliardi di euro e i costi sanitari e sociali per 1,7 miliardi, quanto devono ai danni prodotti dalle sostanze e quanto invece a quelli da stigmatizzazione, clandestinità e repressione? Se a qualcosa servono, gli studi del fenomeno, è a porsi le domande più appropriate invece che lanciare ciclici allarmi.