Su droghe e consumi giovanili il governo ha ormai perso la bussola. Un mix impressionante di improvvisazione, pressappochismo ondivago, incompetenza e neo autoritarismo si è impossessato dei nostri governanti.
Mai come oggi è stato tra sordi il dialogo tra chi interviene sul campo, studia, conosce e educa e chi amministra e legifera. Ma come si fa ad avere nel proprio programma politico l’abrogazione di una legge repressiva e dannosa come la Fini Giovanardi e al contempo sostenere “l’educazione chimica” del kit alla milanese e quella olfattiva dei cani antidroga? E poi, quando i cani e i kit hanno fatto il loro mestiere, che si fa? Si punisce, si sospende, si fa perdere l’anno scolastico? Insomma, si commina una sanzione. Come si fa a credere davvero che un fenomeno di massa – sociale e culturale assai più e ben prima che “patologico” – come il consumo di marijuana tra i giovani si possa gestire all’insegna del controllo di polizia? Il governo è allo sbando, il dialogo con noi che su questo da decenni lavoriamo a questo punto è seriamente a rischio. Perché possiamo discutere di tutto ma a partire da dati di realtà, con chi li nega è davvero dura continuare a pensare una alleanza. E la realtà è fatta di un consumo di massa ludico, per lo più non problematico e a volte esposto a rischi che vanno prevenuti. Ed è fatta da decenni di dimostrazione pratica di fallimento dell’approccio punitivo.
Vogliamo continuare in eterno nella porta girevole degli appelli morali? Per questo andava benissimo anche il governo Berlusconi. Quando entriamo in una classe delle medie superiori ci troviamo di fronte a una netta maggioranza che ha usato una sostanza illegale almeno una volta: come entriamo in contatto con questa loro esperienza? Chi governa ci deve dire – ma davvero, e una volta per tutte – se pensa, attraverso le sue politiche, di gestire e governare un fenomeno di massa al fine di far sì che i giovani abbiano più consapevolezza critica, capacità di autocontrollo e possibilità di tutelare la propria salute o se, all’opposto, ritiene che sia sufficiente biasimare consumo e consumatori, lasciandoli nell’ignoranza e destinandoli a correre per i fatti loro, da soli, i rischi che il consumo può comportare. Perché delle due l’una: o l’azione educativa e di promozione del benessere dei giovani parte dai loro comportamenti reali, dalle loro culture, ne tiene conto e con esse entra in dialogo, in alleanza con i ragazzi, aiutandoli a evitare e minimizzare i potenziali rischi, oppure si continua a vagheggiare di un mondo a consumo zero, dove nessun adolescente sperimenta, prova, rischia, sceglie, e dove l’imperativo morale della società adulta (ma quale? Quella del fiume di cocaina illegale e del mare di psicofarmaci legali?) sa solo dire just say no! attraverso NAS e cani nelle scuole. Ce lo dicano, perché noi dell’educazione, della prevenzione e della limitazione dei rischi abbiamo un’altra idea.