Dal 7 al 9 luglio più di trecento persone, in rappresentanza di altrettante Ong, si sono riunite a Vienna per elaborare tre proposte, da presentare all’appuntamento per la revisione decennale della strategia lanciata alla Sessione Speciale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (Ungass), circa gli sviluppi futuri in tema di politiche sociali e sanitarie sulle sostanze stupefacenti. Un’occasione di confronto internazionale, certamente, ma anche un’occasione per capire dove e come si posiziona l’Italia in questo contesto. Diciamo subito che le proposte si sono articolate su tre direttrici: 1) valorizzare il ruolo delle Ong, anche in rapporto al Piano d’azione di Ungass, in aree come la costruzione di politiche di comunità, prevenzione, trattamento, riabilitazione e reintegrazione sociale; 2) valorizzare e rivedere le buone pratiche di collaborazione tra Ong e agenzie dell’Onu e proporre nuove collaborazioni con Unodc (United Nations Organization on Drug and Crime) e Cnd (Commission on Narcotic Drugs); 3) definire una serie di principi, derivanti dalle convenzioni internazionali, da proporre a Unodc e Cnd come guida per le future decisioni sulle politiche internazionali in materia di droga.
Il confronto è stato sicuramente acceso ma i documenti, rintracciabili sul sito fuoriluogo.it e su «Beyond 2008» (www.vngoc.org) hanno cercato di raggiungere un equilibrio tra le posizioni più distanti. Le istanze dei presenti si sono concentrate sulla necessità di un maggiore bilanciamento tra politiche di controllo e di riduzione del danno, sul primato dei diritti dell’uomo, sull’affrontare il problema droga come un problema di comunità invece che criminale e sul maggior coinvolgimento delle Ong negli aspetti decisionali, sulla connessione, nei vari paesi, tra aspetti economici e problematiche sociali. I sostenitori di vari movimenti «drug free» insorgevano ogni qual volta l’espressione «riduzione del danno» veniva inserita nei report finali ma, complessivamente, i due conduttori dei lavori – David Turner e Michel Perron – hanno svolto un ottimo lavoro.
Cosa mi sono portato a casa da questa esperienza? Mah, sicuramente stupore nel vedere che il Bangladesh aveva dieci Ong coinvolte nel processo di discussione e l’Italia solo quattro (Ceis, Modavi, Forum Droghe, San Patrignano). Penso che dobbiamo imparare a guardare sempre più all’Europa come fonte di conoscenza e di esperienze, su questi temi come su altri, e imparare a cogliere le occasioni di confronto che vengono offerte. Per fare questo dobbiamo forse imparare ad avere uno sguardo, attento sì al locale (molte Ong nascono su questo), ma che sappia aprirsi ai nuovi spazi e ai nuovi temi che ci accomunano. A monte ci può essere un difetto di informazione, certamente, ma le informazioni vanno anche cercate e il nostro sguardo, troppo spesso, rischia di essere un poco miope. Il nuovo governo, che ci piaccia o meno, ha bisogno di forti interlocutori che sappiano agganciare le loro proposte ai temi su cui la comunità internazionale dialoga e si interpella. Non è la chiamata ad esprimere un nuovo «cartello», ma è la chiamata ad assumersi le proprie responsabilità, come Ong, nel costruire politiche sociali e di comunità, esprimendo chiaramente su cosa si è favorevoli e su cosa si è contrari. Solo questa chiarezza rende possibile un confronto ed un incontro.
Capisco che siamo più abituati a dire, ai nostri interlocutori: «…in fondo stiamo dicendo la stessa cosa». Ma non è vero. Stiamo dicendo cose diverse. Abbiamo idee diverse. Abbiamo una proposta di politiche sociali e sanitarie assolutamente diverse, in tema di droga come su altri temi. O no?
Edo Polidori