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(Notiziario Aduc, 16 aprile 2007) Sono stati tutti assolti in Iran, al termine di una lunga vicenda giudiziaria, sei miliziani islamici che avevano barbaramente ucciso cinque persone ritenendole “moralmente corrotte”. Ne dà notizia oggi il quotidiano riformista Etemad. La Corte suprema, che per due volte aveva annullato le condanne a morte emesse da giudici di prima istanza, ha accolto la sentenza di assoluzione del terzo giudice al quale aveva affidato il caso.
La motivazione è che gli imputati hanno ucciso convinti che le loro vittime fossero mahduroddam, letteralmente persone il cui sangue non ha alcun valore, un termine arabo della giurisprudenza islamica che sta ad indicare un individuo corrotto che può essere ucciso impunemente. All’epoca delle uccisioni, compiute a cavallo tra il 2002 e il 2003 nella provincia di Kerman, nel sud-est dell’Iran, i sei imputati avevano tra i 19 e i 22 anni. I delitti avevano scioccato l’opinione pubblica e avevano avuto ampio risalto sulla stampa.
Le vittime – tre uomini e due donne – erano state scelte perché ritenute appunto moralmente corrotte, o per l’uso e lo spaccio di stupefacenti o perché sospettate di relazioni sessuali illegali, cioè al di fuori del matrimonio. Quattro di loro erano state annegate in una buca piena d’acqua, mentre una donna era stata massacrata a colpi di pietra perché ritenuta adultera. In Iran l’omicidio è uno dei reati per i quali è prevista, e quasi sempre applicata, la pena di morte. Fra gli altri vi sono la rapina a mano armata, la violenza carnale, il traffico di droga, l’adulterio e l’apostasia. Secondo i resoconti di stampa e testimoni, dall’inizio dell’anno vi sono state nel Paese già una trentina di esecuzioni. Lo scorso anno, secondo dati di Amnesty International, erano state circa 177.