(Notiziario Aduc) In occasione della celebrazione della Giornata Internazionale contro le Droghe, il 26 giugno, la Rete asiatica contro la Pena di Morte (ADPAN), membro di Amnesty International, ha espresso la sua crescente preoccupazione per il fatto che in vari Paesi di Asia e Oceania, la pena di morte venga comminata piu’ per reati legati alla droga che per altri delitti, quando la tendenza mondiale e’ di limitare la pena capitale.
Secondo ADPAN, sono 16 i Paesi dell’Asia e del Pacifico che applicano la pena di morte per reati di traffico e possesso di droghe. ADPAN riconosce la legittimita’ dei Governi di adottare misure adeguate contro narcotrafficanti e colpevoli di reati di droga affinche’ la legge sia rispettata, e della partecipazione degli Stati ai trattati internazionali per il controllo delle droghe che esigono misure repressive. Ma ritiene che non esistano prove convincenti per cui la pena di morte abbia maggiori effetti dissuasivi contro i futuri trafficanti di qualsiasi altra punizione. Nei Paesi in cui si applica la pena capitale per reati di droga, Amnesty International continua a essere priva dei dati che dimostrano come la pena di morte abbia prodotto un calo nel consumo e nel traffico di stupefacenti. In Cina, per esempio, le cifre della polizia mostrano che il numero di consumatori e’ aumentato del 35% tra il 2000 e il 2005. In Vietnam, la BBC ha citato un funzionario, il quale ha dichiarato che, nel 2005, la quantita’ di droga sequestrata dai servizi doganali e’ aumentata del 400% sul 2004, malgrado l’uso della pena di morte.
Nel corso degli anni, gli organismi e gli esperti dell’ONU in materia di diritti umani hanno esaminato l’ambito d’applicazione della pena di morte in diversi Paesi. Riguardo ai reati connessi alle droghe, le difinizioni legali di delitto di possesso e traffico di stupefacenti variano considerevolmente da un Paese all’altro. A gennaio del 2007, esaminando quest’aspetto, Philip Alston, relatore dell’Onu in tema di esecuzioni extragiudiziarie, sommarie o arbitrarie, ha concluso che la pena di morte sia da intendere come “una misura del tutto eccezionale”, da applicare solo nei casi in cui “si possa dimostrare che sia stata l’intenzione d’uccidere a causare la perdita di vite umane”. Ad aprile, in un ricorso contro la Costituzione dell’Indonesia, il professor Alston, comparso come testimone, dichiarava davanti al Tribunale Costituzionale che: “(la) morte non e’ una risposta adeguata al reato di traffico di droga”.
Poiche’ in molti Paesi dell’Asia la pena capitale e’ circondata dal segreto, non si puo’ sapere esattamente quante siano le condanne eseguite per reati legati alla droga. Ma certi rapporti dimostrano che nei Paesi del Sudest Asiatico come Indonesia, Malaysia, Singapore, Thailandia e Vietnam, la maggioranza dei casi di pena di morte sono legati alla droga. Inoltre, nel Brunei, in India, Laos, Thailandia, Corea del Nord, Singapore e Malaysia, la pena capitale e’ obbligatoria per alcuni reati di droga, cio’ che impedisce ai giudici di tener conto delle circostanze attenuanti.
Tutti gli atti giudiziari, e specialmente quelli relativi a delitti punibili con la pena di morte, devono essere conformi alle garanzie processuali minime contenute nell’articolo 14 del Patto Internazionale dei Diritti Civili e Politici, che comprendono il diritto a essere ascoltati da un tribunale competente, indipendente e imparziale; la presunzione d’innocenza; il diritto a un’assistenza legale adeguata e il diritto a che la decisione sia sottoposta a un tribunale superiore. Alcuni Paesi asiatici come Malaysia, Cina e Singapore, non applicano la presunzione d’innocenza ai reati legati alla droga, bensi’ la presunzione di colpevolezza. Ora, la presunzione d’innocenza e’ una norma internazionale consolidata. Il requisito di considerare l’imputato innocente fintanto che non sia dimostrata la sua colpevolezza in un processo rispettoso di tutte le garanzie d’imparzialita’, ha enormi implicazioni per il diritto di ciascuno ad avere un giusto processo. Significa che l’accusa deve dimostrare la colpevolezza della persona accusata, e se alla fine sussiste un ragionevole dubbio, l’accusato non dev’essere dichiarato colpevole. Ma se s’inverte l’onere della prova, l’accusato perde effettivamente il beneficio del dubbio, e cio’ accresce il rischio che si condanni un innocente. La non applicazione della presunzione d’innocenza a persone accusate di reati per droga, combinata con l’imposizione obbligatoria della pena di morte, e’ una violazione patente delle regole legali internazionali. A queste violazioni si aggiungono l’assenza di un’assistenza legale adeguata in tutte le fasi del procedimento, e cio’ avviene quando l’accusato non possiede i mezzi economici per pagarsi un avvocato difensore, cio’ che aggrava l’ingiustizia del processo.
In Cina, le autorita’ negli ultimi anni hanno approfittato della Giornata Internazionale contro le Droghe per realizzare un gran numero di esecuzioni. Tra il 13 e il 26 giugno del 2006, Amnesty International ne ha registrate 55 per reati di droga.
Alcuni studi hanno dimostrato che la pena di morte s’impone in modo sproporzionato ai membri piu’ poveri e vulnerabili della societa’. Molte persone partecipano al traffico di droga per disperazione o ignoranza; ucciderli, non solo non dissuade altri, ma non affronta nemmeno le questioni che sottendono al fatto delittuoso, come la poverta’, e la mancanza d’istruzione, e ovviamente esclude la possibilita’ di riabilitazione. ADPAN insiste con i Paesi dell’Asia e dell’Oceania affinche’ seguano gli esempi di Filippine e Nepal e si uniscano alla tendenza mondiale di abolire la pena di morte, iniziando proprio dai reati connessi alle droghe, e studiando trattamenti alternativi per rompere il cerchio tra consumo e delinquenza. I 16 Paesi dell’area che mantengono al pena di morte per reati di droga sono: Bangladesh, Brunei, Cina, Corea del Nord, Corea del Sud, India, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Pakistan, Singapore, Sri Lanka, Thailandia, Taiwan e Vietnam. (Lasdrogas.info)