(di Moni Ovadia (Attore teatrale e scrittore) L’Unità, 1 settembre 2007)
L’Italia non cessa di stupirci per le sorprese che ci riserva ad ogni nuovo giorno che espletiamo il rito dell’acquisto dei nostri quotidiani. I titoli ci fanno scoprire che i problemi endemici che affliggono il paese come: lo strapotere della criminalità organizzata che controlla intere regioni, l’evasione fiscale, la diffusa corruzione, le anomalie di un partito azienda che impedisce il formarsi di un autentico partito conservatore, le speculazioni sui prezzi, un parlamento pieno di inquisiti e condannati riciclati, l’impoverimento di fasce sempre più vaste della popolazione, le morti sul lavoro, il lavoro nero, il trionfo dell’illegalità a causa di un sistema giustizia in stato di quasi paralisi, sono piccole cose perché il paese è afflitto soprattutto dalla microcriminalità ed in particolare dai lavavetri.
Il ministro dell’interno l’on. Giuliano Amato, politico solitamente avveduto e dalla indiscutibile preparazione, invita i governanti centrali e locali alla tolleranza zero, su imitazione del celebre Giuliani ex sindaco di New York, perché i cittadini vivono in un clima di insicurezza e la lotta alla criminalità deve partire dal basso altrimenti non si potrà mai sconfiggere la grande criminalità. Dunque ripuliamo le nostre città dai lavavetri e mafia, ‘ndrangheta e camorra si scioglieranno come neve al sole.
A Firenze un amministratore di sinistra emana provvedimenti per dare filo da torcere ai famigerati lavavetri e si riapre l’appassionante dibattito: la lotta alla microillegalità è di destra o di sinistra? Io sapevo che eravamo davvero mal messi nel bel paese, ma è duro rendersi conto che toccato il fondo ci tocca scavare.
È mai possibile che da noi non si possa fare ricorso a leggi serie fondate su un tessuto etico condiviso, invece che lasciarsi andare a trovate propagandistiche per raschiare consensi? Se esiste un racket dei lavavetri che riduce in stato di sfruttamento criminale o di schiavitù degli esseri umani si colpisca il racket, ma se si tratta di un poveraccio che cerca di raggranellare qualche spicciolo per sopravvivere, accanirsi contro di lui è prima di tutto un atto di crudeltà mentale originato da un deficit patologico di senso dell’umanità.
E perché si continua ad alimentare l’allarme insicurezza mentre trafficanti di carne umana che schiavizzano e brutalizzano l’umanità abbandonata dei clandestini per favorire il lauto arricchimento di italianissimi imprenditori agiscono pressoché indisturbati? E che dire delle migliaia di clienti di due prostitute quattordicenni rumene, poco più che bambine (la notizia viene dalla prima pagina del quotidiano di Genova, il Secolo XIX)?
Quei clienti sono nostri concittadini e anche se non lo posso provare ci scommetterei una fortuna che sono elettori moderati, proprio di quel tipo che impreca contro l’insicurezza e la microcriminalità mentre con grande gusto violenta a pagamento delle fanciulle. È facile demagogia la mia? Possibile, ma cos’è allora la campagna contro i lavavetri che tutt’al più ti “violentano” il parabrezza, che cos’è allora l’ossessione sicuritaria che non colpisce il criminale, ma criminalizza a priori intere categorie sociali o umane.
Qualcuno degli aspiranti sceriffi si è mai dato la pena di parlare con qualcuno di questi lavavetri, o di frequentare qualche rom o sinti, di ascoltarne la storia, di mettersi all’ascolto della sua altra umanità per imparare invece che per giudicare?
A me è capitato di stabilire un rapporto sia con gli uni che con gli altri e ho ritrovato la mia origine di profugo. A molti italiani servirebbe ritrovare la propria memoria di figli di emigranti che ricevevano lo stesso trattamento che loro vorrebbero riservare agli emigranti in casa nostra.
Perché nel paese degli “italiani brava gente” succedono fatti come questi: uno straordinario musicista rom rumeno, formato nelle migliori scuole musicali del suo paese, prima di diventare una persona per bene grazie all’ingresso della Romania nella Comunità Europea, suonava nella metropolitana per mantenere la famiglia. Alcuni zelanti difensori del diritto alla sicurezza gli sequestrarono per ben due volte il clarinetto. Doveva essere certo essere una pericolosa arma impropria, come la bottiglia di plastica e lo strofinaccio del lavavetri.
In conclusione: l’ossessione sicuritaria è una tipica forma del pensiero reazionario, i democratici combattono la microillegalità nel quadro della solidarietà e della mediazione sociale, rispettando le alterità e gli specifici culturali. Il nostro slogan è: “intolleranza zero”!