FERRARA. Omissioni, coperture, mezze verità se non bugie per «proteggere» i loro colleghi, i propri uomini, agenti di polizia che avrebbero dovuto essere indagati fin dal 25 settembre 2005 per la morte di Federico Aldrovandi.
Non usa cautele giuridiche il gup Monica Bighetti per spiegare perché ha condannato tre dei 4 agenti imputati nel processo Aldrovandi bis.
NON SI NASCONDE dietro le solite costruzioni arzigogolate e tecniche usate spesso dai magistrati per spiegare ciò che in fondo il processo – proposto da accusa e famiglia di Federico – voleva dimostrare: che le indagini sulla morte del ragazzo, quel 25 settembre 2005, partirono male perché la polizia fece di tutto per minimizzare, sottovalutare, coprire, omettere e depistare.
Primo tra tutti, Paolo Marino, funzionario che dirigeva le Volanti. Quel giorno non disse la verità al pm Mariaemanuela Guerra, magistrato di turno, per non «compromettere i propri uomini».
E MARCO Pirani, che era stata il braccio destro del pm Guerra? Non fece ciò che doveva fare, mettere per iscritto ciò che aveva scoperto sui brogliacci pasticciati del 113, «per non esporre a rischio Bulgarelli e Marino» che li aveva compilati e pasticciati. E Bulgarelli stesso quando interruppe (con il famoso «stacca») la registrazione con Luca Casoni (altro imputato in altro processo) «aiutò i 4 agenti ad eludere le possibili indagini a loro carico».
Posizione per posizione, il gup Bighetti spiega il perché delle sue condanne.
PAOLO MARINO ha avuto una pena di 1 anno, perché – scrive il gup – «il fatto da lui commesso è di estrema gravità: appartiene ai doveri funzionali di un ufficiale di polizia quello di informare compiutamente l’autorità giudiziaria delle notizie di reato apprese…»
Marino cosa fece? «Ha invece comunicato un decesso (quello di Federico, ndr) omettendo artatamente di evidenziare ciò che poteva compromettere i propri uomini». E non finisce qui, per Marino: «Alla gravità oggettiva della condotta – sottolinea il gup – si aggiunge l’intensità del dolo, rivelata dal sottolineare esclusivamente il comportamento della persona deceduta, omettendo di riferire dello scontro fisico violento con gli agenti di polizia».
ALLA FINE, dopo un processo intenso – con tensioni amplificate dall’intervento del procuratore capo Minna in aula, a favore della procura contro la «fogna mediatica» del caso Aldorvandi – il gup ha soppesato le versioni fornite dal pm Guerra e dal dirigente Marino accogliendo la ricostruzione fatta dal magistrato.
«La versione dei fatti resa dal sostituto è degna di essere creduta a differenza da quella dell’imputato» scrive tranciante il giudice pesando la relazione al Csm del pm Guerra e le dichiarazioni di Marino, anche al processo Aldrovandi.
SUL COMPORTAMENTO di Marino, che indusse in errore il pm a non andare sul posto, il gup Bighetti è durissima: «…a differenza del sostituto di turno, Marino non aveva certamente interesse a che il pm si recasse sul posto e apprezzasse di persona cosa stava accadendo, vedesse il ragazzo, interrogasse gli agenti, dirigesse le indagini».
PERCHE’ NEGARE l’evidenza? Perché «…l’interesse del dirigente Upg era difendere i sottoposti, scartare subito l’ipotesi che potessero essere responsabili; quindi comunicare che vi era stata una estenuante collutazione (ricorda l’affermazione di Pontani, ‘l’abbiamo pestato di brutto per mezzora’) sarebbe stato controproducente, ne avrebbe provocato verosimilmente l’i ntervento».
E ALLORA che fare? «Meglio smorzare, meglio attenuare il comportamento degli agenti fino a renderlo evanescente e puntare sull’escandescenza solitaria del ragazzo, sconfinata in decesso improvviso».