Da cinque anni negli USA la marijuana è legalizzata in otto stati mentre quasi trenta ne riconoscono le proprietà mediche, eppure la “guerra alla droga” resta presente nella vita di centinaia di migliaia di cittadini. Questa la denuncia della Reform Conference, organizzata dalla Drug Policy Alliance ad Atlanta dall’11 al 14 ottobre scorsi. Nata dalla fusione della Drug Policy Foundation e del Lindesmith Center, la DPA raggruppa esperti e militanti per una riforma complessiva delle leggi e delle politiche sulle droghe negli USA.
L’arrivo di Trump, la nomina di Jeff Sessions al Dipartimento della Giustizia e di Tom Marino a zar anti-droga, assieme ai tentativi di cancellare l’Obamacare hanno fatto sì che associazioni, esperti, medici, attivisti e vittime della “guerra alla droga” abbiano deciso di lavorare insieme, magari accantonando rivendicazioni particolari, contro le politiche anti-droga. Se sotto Obama il clima era in parte cambiato oggi c’è una ripresa della militarizzazione della polizia, l’impunità per le violazioni dei diritti umani dei consumatori, il blocco della riforma del sistema penale, il rafforzamento del complesso industriale penitenziario, la sospensione dei finanziamenti federali ai programmi di riduzione del danno, come la distribuzione di siringhe sterili, e il rilancio della cooperazione internazionale per l’eradicazione delle colture illecite nei paesi dell’America centro-meridionale.
Se la legalizzazione della cannabis era una campagna lanciata con una visione aperta e con speranze di ripercussioni ampie, la commercializzazione della pianta ha messo in evidenza come siano i “maschi bianchi con codino e barba” i reali beneficiari del nuovo quadro normativo. Neri e latinos, per non parlare dei nativi, restano pressoché esclusi dal mercato ma si confermano vittime della permanente “guerra alla droga”. Neri e latinos restano anche fuori dall’epidemia di morti per overdose da oppiacei, il che l’ha resa più digeribile come emergenza sanitaria dal grande pubblico anche se nessuno ha affrontato le cause legate anche alle alte percentuali di analfabetismo funzionale di certe fasce della popolazione.
Mezzo pieno il bicchiere della ricerca scientifica sulle sostanze psicotrope per fini terapeutici. Malgrado si tratti di piante e derivati tabellati come pericolosi dall’ordinamento federale, grazie alla spinta propulsiva di alcune ONG in molte università, studiano e sperimentano MDMA, cannabis e DMT nella cura di varie patologie. Malgrado Trump, i trial clinici procedono e c’è chi ritiene che l’MDMA possa esser registrato come medicina entro il 2021.
Ultima, ma non ultima, novità della Reform Conference, è la straordinaria presenza di donne appartenenti a tutti i settori: avvocatesse, sociologhe, psicologhe, attiviste, giornaliste, madri e figlie di condannati (anche a morte) o brutalizzati dalla polizia di tutti i gruppi etnici e ceti sociali hanno parlato in plenaria e guidato le decine di commissioni tematiche che si sono snodate per i tre giorni. Culmine di questo cambiamento di genere la nomina a nuova direttrice esecutiva della DPA di Maria McFarland Sanchez-Moreno che da qualche mese ha preso il posto del fondatore dell’Alleanza Ethan Nadelmann.
La guerra alla droga negli USA quindi continua ma dovrà confrontarsi con un fronte ampio e molto diversificato che, fortunatamente, riesce a tenere insieme liberal, anti-capitalisti, socialisti, ecologisti, libertarian, ex poliziotti, accademia e semi-analfabeti di ogni età e retroterra grazie alla generosità di filantropi come George Soros e pochi altri.