I governi australiani (statali e federali) spendono circa 4,7 miliardi dollari l’anno per la guerra alla droga. A questa cifra si è giunti sulla base dei dati della Australian Drug Law Reform Foundation e di altre fonti, ed è una stima di quanto il governo potrebbe risparmiare e incassare in entrare fiscali, se la vendita di droghe illecite fosse regolamentata e tassata come il tabacco.
Mi sono cimentato in questo calcolo per il crescente interesse sulle conseguenze economiche della guerra alla droga lanciata dal presidente degli Stati Uniti Richard Nixon nel 1971. Dr Alex Wodak, direttore del Servizio sulle tossicodipendenze al St Vincent’s Hospital di Sydney, di recente ha osservato sull’Herald che c’è una crescente convinzione – in tutto il panorama politico – che la guerra è stata persa.
Alle Nazioni Unite nel 1998 ci fu il riconoscimento che la guerra non stesse andando bene e un impegno a ridurre la domanda entro 10 anni. Il termine si avvicinava, ma RAND Europe, e nei Paesi Bassi il Trimbos Istitute, hanno riferito alla Commissione europea di non aver riscontrato alcuna diminuzione del consumo di droghe a livello mondiale. Interventi mirati ai produttori di droga, come i coltivatori di coca in Sud America, hanno causato diminuzioni a livello locale, ma hanno avuto poco effetto sull’offerta globale. I prezzi delle droghe in generale sono diminuiti, anche in quei Paesi occidentali che hanno passato leggi più severe.
Nel 2005 un economista di Harvard, Jeffrey Miron, ha elaborato un documento per sollecitare la legalizzazione della marijuana, perché il divieto produce benefici minimi e può causare danni notevoli, tra cui la spesa di denaro pubblico che potrebbe essere utilizzato altrove e meglio. Cinquecento economisti hanno scritto al Governo americano a sostegno del suo appello. Tra questi il Nobel George Akerlof, Vernon Smith, e il compianto Milton Friedman.
Il dibattito in Australia potrebbe beneficiare dell’approfondimento delle questioni economiche legate alla guerra alla droga. Il dottor Wodak ha detto questa settimana: “Dopo 40 anni, è giunto il momento di esaminare i risultati della guerra alla droga, e i suoi costi. Sarebbe molto interessante sapere quanto l’Australia ha speso per applicare la legge sulla droga e quanto è stato ottenuto “.
John Humphreys, economista presso il Centro di studi indipendenti, dice: “la cosa si fa interessante quando si tenta di fare una analisi costi-benefici del proibizionismo. In sostanza, non ci sono i benefici”.
Altri, ovviamente, non sono d’accordo. Ma per una discussione utile, abbiamo bisogno di una qualche idea del costo. Riconosco che i miei calcoli costituiscono una presunzione informata su cui invito tutti a inviare commenti e critiche. Né questa cifra, né qualsiasi altra cifra significa necessariamente che le droghe illecite debbano essere depenalizzate.
Il calcolo del costo annuale delle leggi vigenti si basa su cifre raccolte dall’economista Tim Moore. Le due fonti di spesa maggiori sono i costi di polizia e di incarcerazione. Ho escluso tutte le eventuali spese che vi sarebbero comunque anche se le droghe fossero legalizzate, la maggior parte delle quali riguarda l’assistenza sanitaria. Le spese sanitarie potrebbero addirittura aumentare se la depenalizzazione causasse un aumento significativo del numero di consumatori. Le esperienze di Paesi come l’Olanda e il Portogallo, che hanno di fatto depenalizzato il consumo di droga, suggeriscono che non ci sarebbe un grande aumento. Presumo, quindi, che il livello del consumo di droga rimarrebbe costante.
Le cifre raccolte da Moore ci danno un totale di 2,79 miliardi dollari, a cui ho sottratto un 10 per cento, che costituirebbe il costo delle attività di polizia di cui ci sarebbe ancora bisogno, come i controlli di polizia contro chi guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Il tutto ci porta ad un risparmio di 2,51 miliardi dollari.
Il gettito erariale è molto meno certo e richiede alcune presupposizioni. Il punto di partenza deve essere la dimensione attuale del mercato illecito di stupefacenti. La migliore stima è contenuta nel rapporto The Three Billion Dollar Question for Australian Business dell’Australian Drug Law Reform Foundation redatto dai tre professori David Collins, Helen Lapsley, e Robert Marks. Se si tiene conto dell’inflazione, il mercato nero delle droghe ammontava lo scorso anno a circa 11,4 miliardi dollari.
Che cosa accadrebbe se vi fosse la legalizzazione? I prezzi scenderebbero molto: Collins e Lapsley stimano che diminuirebbero di circa il 95% rispetto ai livelli attuali, ad eccezione della marijuana, che scenderebbe del 75%, perché è meno rischioso contrabbandarla.
Altri hanno suggerito che i prezzi scenderebbero molto meno. L’economista Jeffrey Miron ha pubblicato un libro il mese scorso in cui parla di un dimezzamento dei prezzi attuali della marijuana (in quanto i prezzi in Olanda, dove la sostanza è praticamente legale, sono ancora tra il 50 e il 100 per cento dei prezzi del mercato nero negli Usa), il 20 per cento per la cocaina, e il 5 per cento per le altre droghe.
La mia ipotesi è che con la legalizzazione i prezzi scenderebbe di media del 90%, per un giro di affari annuo di 1,1 miliardi dollari. Non ho sufficiente esperienza per sapere se questo sarebbe abbastanza per coprire i costi e realizzare un profitto per i rivenditori autorizzati. Ci sono troppe incognite. Come sarebbe prodotta la cocaina se depenalizzata? Sarebbe importata dal Sud America, o dalla Nuova Guinea? La coca potrebbe essere coltivata nel nord dello Stato del Queensland?
Presupponiamo che il fatturato di 1,1 miliardi dollari sarebbe tassato dal Governo allo stesso modo del tabacco, ovvero del 200 per cento. Ciò porterebbe a triplicare il costo delle sostanze fino a un totale di 3,3 miliardi di dollari, di cui 2,2 miliardi sono imposte.
Aggiungendo questo gettito erariale al costo di applicazione della legge di 2,51 miliardi dollari, si ha un totale di 4,71 miliardi dollari. Questo è l’importo di cui le finanze pubbliche potrebbero beneficiare se fossero legalizzate le droghe.
Alcuni fattori finanziari sono state esclusi dal calcolo perché troppo incerti o di scarsa rilevanza. Fra questi, il regime fiscale delle nuove industrie di produzione, le entrate derivanti dalla tassazione delle imprese e degli individui che vi lavorano. Non ho tenuto conto neanche delle entrate dovute alle imposte sul reddito di molte delle persone ora in carcere per condanne di droga che potrebbero tornare a lavorare.