Presentato lo scorso 29 Ottobre The Global State of Harm Reduction 2024, la nona edizione del report con il quale Harm Reduction International delinea un’istantanea globale delle politiche e dei programmi di riduzione del danno e delle risposte alle problematiche collegate al consumo di sostanze, come nel caso di patologie come HIV ed epatite.
Il documento rappresenta il risultato della collaborazione tra rappresentanti della società civile e ricercatori.
Dotato di una veste grafica aggiornata, e arricchito di approfondimenti inediti, il documento riassume le principali tendenze affiorate nel corso del 2024, sulla base della comparazione con le statistiche relative al 2022.
Come è possibile leggere nell’introduzione, persistono ancora lacune significative nei dati: gap che rappresentano un promemoria circa la necessità dell’implementazione del sistema di monitoraggio e del reporting dei dati.
Lo stato della riduzione del danno nel mondo
La parte iniziale del report è riservata a una panoramica generale relativa ai servizi di riduzione del danno.
Il numero di paesi con almeno un programma per il ricambio di aghi e siringhe (NSP) è aumentato di una sola unità dal 2022, seppur rimangano sensibili differenze territoriali, in particolare a causa delle disparità economiche nazionali.
Inoltre, in considerazione del fatto che il consumo di droghe per via iniettiva è stato documentato in 190 paesi, ciò significa che in 97 paesi non è garantito alcun programma NSP.
L’Oceania è il solo continente ad attestare un’elevata copertura dei NSP, ma in riferimento a solo a due paesi del continente, ossia Australia e Aotearoa (Nuova Zelanda). Per Asia centrale ed Europa occidentale si segnala una copertura moderata, giudicata poi bassa in riferimento a tutte le altre regioni.
Ad oggi, la disponibilità dei programmi NSP non è sufficiente né nella prevenzione dell’HIV né del virus dell’epatite C.
Il numero dei programmi di terapia con agonisti degli oppioidi (OAT) si presenta in linea con quello degli NSP: essi sono attualmente presenti in 94 paesi. In questo caso, però, l’aumento rispetto al 2022 appare leggermente più marcato, essendo all’epoca 88.
L’Europa occidentale presenta la copertura più elevata (70 pazienti ogni 100 persone che si iniettano droghe), seguita da Oceania e Asia meridionale.
La copertura viene valutata come moderata nel Nord America (21%) e bassa in tutte le altre regioni, fino ad arrivare al 2% di Africa centro meridionale, Asia centrale e Europa orientale.
Ancora più basso il numero di paesi che prevedono la presenza di stanze sicure per il consumo (DCR), attualmente 18.
I provvedimenti legislativi emanati in merito da parte di Colombia e Sierra Leone hanno portato da 16 a 18 il numero di paesi ad aver adottato simili misure dal 2022.
I programmi di somministrazione di naloxone a domicilio, infine, sono classificati come disponibili in 34 paesi, uno in meno rispetto al 2022.
In merito agli interventi di riduzione del danno, è infine necessario sottolineare come un considerevole fattore di influenza dei dati è rappresentato dai consumi nazionali di sostanze, elemento in grado di far variare sensibilmente le risposte emerse dallo screening dei servizi offerti: da questo punto di vista, il maggior impatto si osserva nell’ambito dei servizi di drug checking.
In riferimento alla composizione sociale della popolazione dei consumatori, HRI torna a ravvisare come l’accesso ai servizi di riduzione del danno si renda problematico per le categorie maggiormente marginalizzate, come nel caso di persone LGBTQI+, indigeni, donne, migranti e persone private della libertà.
Nonostante le prove scientifiche e le crescenti raccomandazioni internazionali, l’approccio al consumo di sostanze illecite continua a essere dominato da politiche punitive e pratiche coercitive, con continue violazioni dei diritti umani a livello globale.
Come si legge nel documento, “108 paesi includono la riduzione del danno nelle politiche nazionali. Tuttavia, nella maggior parte dei luoghi, la criminalizzazione e le risposte punitive restano dominanti. Questi approcci minano gli sforzi di riduzione del danno e continuano ad alimentare lo stigma e la discriminazione e a dissuadere le persone che fanno uso di droghe dal cercare servizi vitali e salvavita”.
La diffusione di pratiche repressive rivolte contro i consumatori di sostanze risulta talmente capillare da aver reso impossibile stabilire l’effettiva inclusione della riduzione del danno nelle politiche nazionali in otto paesi che risultano in elenco già dal 2022: Repubblica Dominicana, Ghana, Libia, Oman, Filippine, Samoa, Siria e Vanuatu.
Su scala internazionale, quindi, servizi e offerta rimangono declinati in maniera assai diversa a seconda del paese, così come, all’interno dei contesti nazionali, l’adozione di politiche di riduzione del danno non riflette la dura realtà vissuta dalle persone che fanno uso di droghe illecite.
Il report prosegue analizzando gli investimenti giunti a sostegno di pratiche di riduzione del danno nel corso degli ultimi 15 anni.
Gli esiti, come è possibile leggere, “sono stati costantemente desolanti”. L’ultima ricerca ha identificato 151 milioni di dollari in finanziamenti per la riduzione del danno nei paesi a basso e medio reddito nel 2022, pari al solo 6% dei 2,7 miliardi di dollari stimati necessari ogni anno entro il 2025.
Il gap di finanziamento risulta così pari al 94%, con i programmi di riduzione del danno che, nel 2022, hanno rappresentato solo lo 0,7% del totale dei finanziamenti a prevenzione dell’HIV, nonostante l’8% delle nuove infezioni da HIV si sia verificato tra persone che utilizzano sostanze per via iniettiva.
Di conseguenza, i finanziamenti per l’advocacy si sono drasticamente ridotti: i fondi giunti da parte della Open Society Foundations, uno dei maggiori donatori mondiali tra 2016 e 2019, si sono quasi dimezzati a partire dal 2020.
Gli investimenti nazionali nella riduzione del danno hanno invece rappresentato solo lo 0,4% di tutti i finanziamenti nazionali per l’HIV.
All’esiguità della spesa si aggiunge in molti casi mancanza di trasparenza circa la spesa pubblica, elemento in grado di rendere più difficile il monitoraggio finanziario.
A seguito di questa approfondita analisi globale, la seconda parte del documento è dedicata a una serie di quattro capitoli di approfondimento tematico: epatiti, popolazioni indigene, carceri, popolazione giovanile
Epatiti
Secondo l’ultima stima pubblicata su The Lancet nel 2023, la prevalenza globale dell’attuale tasso di infezione da HCV tra le persone che assumono droghe per via iniettiva è del 38,8%: circa 5,8 milioni di persone che si iniettano droghe convivono quindi con l’HCV, con prevalenza nelle zone orientale e sud-orientale dell’Asia (circa 1,5 milioni di persone).
Per quanto riguarda l’Europa Occidentale, l’Italia presenta il più alto numero di consumatori di droghe per via iniettiva che convivono con l’HCV, con un tasso di prevalenza del virus pari al 39,6% su circa 320.500 persone.
Si stima che il 43,6% delle nuove infezioni mondiali da HCV sia causato da condivisione di materiali non sterilizzati.
Sono solo 14 i paesi giudicati adempimenti circa l’attuazione delle misure necessarie per il raggiungimento degli obiettivi di contrasto all’epatite fissati dall’OMS.
Popolazioni indigene
Le popolazioni indigene sono tra quelle a risentire maggiormente della marginalizzazione dal contesto sociale.
La povertà intergenerazionale è direttamente collegata alla colonizzazione e al razzismo strutturale, ed è un altro importante catalizzatore del consumo di sostanze tra gli appartenenti a questa fascia sociale.
Alle condizioni di povertà si sommano disoccupazione, mancanza di alloggi e accesso limitato alle terre per lo svolgimento di attività economiche tradizionali.
Come nel caso di altre minoranze, la profilazione etnica costituisce uno dei fattori alla base dei tassi di incriminazione a danno degli indigeni.
Prendendo in riferimento alcune delle popolazioni indigene di Canada, USA e Australia, l’impatto del consumo di sostanze sulle comunità appare evidentemente sproporzionato: nel caso delle popolazioni Kanai dell’Alberta canadese, ad esempio, i tassi di overdose causate da oppiacei risulta sette volte superiore rispetto al resto della popolazione.
Metanfetamine, Cannabis, tabacco e oppioidi le droghe più comunemente usate dalle minoranze etniche.
Carcere
Sebbene almeno 66 giurisdizioni in 40 paesi abbiano in qualche modo depenalizzato l’uso personale e il possesso di droghe, si stima che nel 2022 a livello globale fossero detenute circa 11,5 milioni di persone per reati droga-correlati.
In riferimento al 2022, il 51% dei procedimenti giudiziari a livello mondiale, così come il 54% delle condanne per questo tipo di crimini, sono risultati connessi alle sole condotte di uso/possesso: si tratta di 1,4 milioni di persone nel primo caso, di 900mila nel secondo.
Anche in questo caso, le fasce di popolazione più svantaggiate sono quelle maggiormente esposte alla risposta penale: citando una statistica, oltre una donna su tre in carcere a livello globale è incarcerata per reati di droga – percentuale che sale al 60-80% in alcuni paesi dell’America Latina e dell’Asia.
Sono solo 11 i paesi che prevedono un programma NSP in almeno una prigione, cifra pari al 12% dei 93 paesi che forniscono NSP alle persone in stato di libertà.
Adolescenti
L’edizione 2024 del report di HRI è la prima che riserva un capitolo dedicato alla popolazione giovanile.
Dal focus emerge che molti paesi forniscono pochi o nessun servizio specifico per gli adolescenti.
Fra gli ostacoli evidenziati dalla ricerca, il principale è costituito dall’assenza di servizi di riduzione del danno a misura delle fasce più giovani, principalmente a causa della mancanza di servizi inclusivi e di politiche calibrate sulle specifiche esigenze. In molti casi, lo stesso diritto alla privacy risulta non sufficientemente assicurato.
A tale quadro occorre aggiungere un dettaglio decisivo: nonostante gli adolescenti siano colpiti in modo sproporzionato dalle leggi antidroga, ai tassi di incriminazione non è corrisposto alcun progresso nei servizi di riduzione del danno, con prestazioni sanitarie considerate ancora generalmente inadeguate.
Il report è chiuso da una serie di focus per ognuna delle nove aree geografiche prese in esame, mediante la presentazione di dati sulla disponibilità di servizi che evidenziano le questioni chiave da affrontare su scala territoriale e le future azioni da intraprendere.
Quanto emerge dal report di HRI delinea un quadro all’interno del quale gli interventi di riduzione del danno appaiono scarsamente finanziati, ancora non sufficientemente promossi, nonché poco inclusivi dei confronti di determinate categorie sociali.
La complessità del documento riflette in maniera diretta quella della materia presa in questione, rilanciando la necessità di provvedimenti in grado di valorizzare politiche che, ormai da anni, hanno mostrato una insostituibile efficacia.