Il 10 ottobre di quest’anno il Tribunale di Cremona ha assolto una donna imputata nel 2011 per avere coltivato quattro piantine di marijuana. La sentenza di proscioglimento perché il fatto non costituisce reato si deve al giudice Guido Salvini, che già quattro anni fa come giudice dell’udienza preliminare a Milano aveva assolto un altro imputato per la coltivazione in giardino di sette piantine (vedi Manifesto 11 febbraio 2010). La vicenda nasce due anni fa in seguito a una perquisizione effettuata dai carabinieri che scoprono il corpo del reato in bella mostra di sé sul davanzale della finestra (segnalato “confidenzialmente”, si dice).
Una vicenda – tutto sommato banale – ha comportato diversi passaggi giudiziari con perdita di tempo, di spese per l’imputata e per lo Stato, di energie distratte da compiti più rilevanti. In ordine: l’analisi delle foglie compiuta dalla Asl di Cremona ha individuato il principio attivo, Delta-9-Thc, in una quantità pari a 1940mg, superiore quindi al quantitativo massimo di 500mg tollerato per uso personale; il Pubblico Ministero, nell’aprile 2012, chiede comunque l’archiviazione del procedimento, perché la quantità di stupefacente appare compatibile con un uso esclusivamente personale; la richiesta è respinta nell’ottobre 2012 dal Gip con riferimento alla pronuncia delle Sezioni unite della Corte di Cassazione di considerare la coltivazione penalmente rilevante in ogni sua forma: sentenza n.28605 del 10 luglio 2008, peraltro contraddetta da altre sentenze della Corte di Cassazione e da diversi giudici, come Fiorella Pilato della Corte d’Appello di Cagliari e Carlo Renoldi del Tribunale di Cagliari (vedi Manifesto del 16 novembre e 14 dicembre 2011). Si arriva così nel 2013 al processo, in cui anche il PM, insieme al difensore, chiedono il proscioglimento. L’assoluzione chiude un balletto giudiziario di ben due anni.
Nel dispositivo della sentenza, il giudice, Guido Salvini, sottolinea la differenza ontologica tra la coltivazione industriale e quella domestica e denuncia che l’assimilazione effettuata dalla Suprema Corte è assai discutibile sul piano ermeneutico. Nel caso specifico, il giudice afferma con nettezza che la condotta dell’imputata non è suscettibile di concreta offensività penale e soprattutto che non può essere giudicata lesiva del bene che si intende proteggere (la salute pubblica cercando di limitare la circolazione di sostanze) in quanto è una azione equiparabile alla detenzione per uso personale con la modalità della auto produzione, con in più il merito di non alimentare il mercato illegale e clandestino.
L’odissea di due anni di questa cittadina non è finita con l’assoluzione; ora inizia il calvario delle sanzioni amministrative previste dall’art. 75 della stessa legge.
Come interrompere questa persecuzione che mette in crisi la giustizia e riempie le carceri? Non c’è che un solo modo, cambiare la legge. Nel quarto Libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi tra i tanti dati eloquenti sugli effetti collaterali, emerge il fatto davvero scandaloso che il 49% delle denunce per possesso di sostanze stupefacenti riguarda i derivati della cannabis! Ora molti affermano che, piuttosto che l’amnistia, è il caso di cambiare la legge antidroga. Bene. Il testo della legge d’iniziativa popolare è in Parlamento. Non si perda un minuto. Cominciamo a non far entrare in carcere chi è accusato di fatti di lieve entità, a depenalizzare completamente il possesso per uso personale, compresa la coltivazione domestica, a modificare le norme sulle alternative terapeutiche in modo da far uscire dalle patrie galere almeno diecimila tossicodipendenti.
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