Tempo di lettura: 5 minuti[avatar user=”Barbara Cazzolli” size=”thumbnail” align=”right” /] [L’articolo è stato aggiornato] Allo scadere del secolo scorso, alcuni studi inglesi avevano scoperto che la maggior parte degli scambi di sostanze stupefacenti, per lo più cannabis, avveniva tra amici e conoscenti che non si conformavano allo stereotipo dello spacciatore descritto dalle leggi sulla fornitura di droghe (ad esempio, Dorn e colleghi, 1990). Qualche anno più tardi, nel 2002, la Polizia inglese sollevò all’attenzione dei decisori politici la richiesta di riconoscere un reato distinto di vendita a seconda del modello di attività di commercio illecito di stupefacenti adottato. La risposta non tardò ad arrivare: la Commissione degli Affari Interni inglese rifiutò la proposta ma il mondo accademico iniziò ad interessarsi ad una nuova dimensione del mercato al dettaglio delle sostanze stupefacenti, il social supply.

Il termine social supply (letteralmente tradotto come fornitura sociale), nel dibattito sulle sostanze stupefacenti, fa riferimento a degli scambi di sostanze tra amici e/o conoscenti senza scopo di lucro. Una modalità di approvvigionamento che per molti studiosi del settore esemplifica, più di ogni altra cosa, la differenza con la vera definizione di spaccio. Tuttavia, anni di studi e di sensibilizzazione sul tema del consumo di droghe non sembrano sufficienti. Il primo posto di blocco, ancora ed inspiegabilmente stabile, è quello legato al tema della cannabis.

In Italia, il legislatore è intervenuto nel 2014 con la definizione dello spaccio di lieve entità come reato autonomo (V° comma art. 73 DPR 309/90) ristabilendo una distinzione importante nel trattamento sanzionatorio delle sostanze stupefacenti. L’ipotesi ordinaria sulle droghe leggere sarebbe tornata – grazie alla pronuncia di pochi giorni dopo della Corte Costituzione – ai 2 ai 6 anni contro gli 8-20 per le droghe pesanti. Quest’ultima previsione è stata portata con il nuovo intervento della Corte Costituzionale del 2019 volto a riportare un minimo di proporzionalità delle pene, a 6-20 anni. La lieve entità invece, sebbene non faccia una distinzione fra sostanze corrisponde ad una pena dai 6 mesi ai 4 anni. Un intervento normativo che poteva sembrare giocare un ruolo fondamentale rispetto alla differente percezione delle sostanze dal punto di vista sociale, anche se la ricerca su questo ci dice cose un po’ diverse (cfr Cohen, 2001). A ciò comunque si aggiunge la recente decisione delle Sezioni Unite di escludere la punibilità penale per coltivazioni che per quantità e tipologia possano ritenersi esclusivamente per uso personale. Eppure manca ancora la percezione di un immaginario culturale collettivo rinnovato rispetto alla cannabis, il cui consumo è ancora stigmatizzato dal “comune buon senso”.

Il 13 novembre 2018, è stato comunicato alla Presidenza un disegno di Legge redatto da un gruppo di lavoro promosso da La Società della Ragione al quale hanno partecipato numerosi esponenti di altre associazioni, Forum Droghe compresa, riguardo alcune fondamentali modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, in materia di depenalizzazione del consumo di sostanze stupefacenti, di misure alternative alla detenzione e di programmi di riduzione del danno. Un esempio è rappresentato dalla sostituzione dell’articolo 73. In particolare, il passaggio fondamentale della proposta riguarda l’esclusione dalla penalizzazione per la coltivazione (e ogni altra condotta) finalizzata al consumo personale, la cessione totalmente gratuita (in genere riconducibile a contesti amicali) e la cessione finalizzata all’uso di gruppo. Una riduzione considerevole delle pene che riporta il trattamento sanzionatorio ad una proporzionalità dell’offesa più in linea con i principi costituzionali e con gli ultimi sviluppi in ambito accademico. Parte di questa riflessione è stata poi assorbita dalla proposta dell’on.le Magi di modifica delle norme sulla lieve entità, ora in discussione alla Camera in abbinamento con la proposta leghista di raddoppio delle pene per i piccoli spacciatori.

Lo scorso 29 novembre si è tenuta all’Ospedale Maggiore di Bologna una conferenza sul tema della fornitura sociale di sostanze stupefacenti, dove il Professor Raimondo Maria Pavarin ha esposto i dati di una ricerca realizzata dall’Osservatorio epidemiologico dell’Azienda Sanitaria di Bologna. In particolare, i dati raccolti su 300 consumatori e circa 60 rivenditori di cannabis (18-64 anni) hanno dimostrato l’esistenza del fenomeno del social supply anche sul territorio italiano, riportando caratteristiche di scambio e di approvvigionamento della cannabis in linea con le ricerche internazionali.

Evidenze di un mercato sociale che a parere della scrivente riflettono le circostanze di vita reale riconosciute dalla proposta di legge riportata precedentemente. Una conferma che può dare una svolta definita alla situazione normativa e culturale in materia di sostanze stupefacenti.

Insomma, il bisogno sociale è sempre più evidente e sia la giurisdizione che la ricerca scientifica dimostrano di essere pronte ad accogliere tali richieste. Eppure qualcosa si inceppa, perché? La risposta, ahimè, non consola. Recenti riflessioni di alcuni esperti, infatti, hanno dimostrato, in modo convincente, come le attuali classificazioni in materia di sostanze stupefacenti riflettano indici poco affidabili di rischio e di danno per i consumatori e la società. Al contrario, sembra che, in molti casi, la scelta degli indici dipenda dalla misura in cui una certa sostanza sia considerata storicamente e culturalmente, in cui il giudice è il “comune buon senso” e non l’esperto.


Abbiamo ricevuto la seguente precisazione da parte del Prof. Pavarin che pubblichiamo integralmente:

gentilissimi, a proposito dell’articolo di cui all’oggetto a cura di Barbara Cazzoli, pubblicato nella vostra rivista, in cui si cita una ricerca da me coordinata, vorrei venissero pubblicate queste precisazioni.
Ovviamente, questo non vuol dire che secondo me sarebbe meglio proibire o che sarebbe meglio legalizzare, ma solo che bisogna fare chiarezza sull’uso corretto dei dati preliminari che provengono da questo studio.
Credo concordiate sul fatto che un uso corretto delle informazioni prodotte dalla ricerca scientifica non possa che giovare al dibattito sulle droghe in Italia.
Per correttezza, il titolo della ricerca è: “Edonisti, libertari o.. liberisti? Uno studio sul mercato sociale della cannabis”.
1) Trovo molto scorretto utilizzare in modo distorto i dati preliminari di una ricerca non ancora pubblicata per dimostrare l’utilità di una proposta di legge.
2) La traduzione corretta di Social supply è mercato sociaIe. I dati non “dimostrano l’esistenza del fenomeno del social supply nel territorio italiano”, ma mettono invece in luce un mercato complesso in cui convivono scambi sociali, rapporti di reciprocità, reti amicali basate su fiducia e credito, e attività finalizzate al profitto e spaccio, da approfondire con ricerche mirate.
3) Tale complessità è confermata anche dalla letteratura internazionale che pone come punti critici nel “social supply” “il profitto” e l’utilizzo da parte di acquirenti/ventidori di “tecniche di neutralizzazione” per giustificare i propri comportamenti.
4) Il dato interessante che emerge è invece quello collegato ad un mercato “chiuso”, in cui possono entrare solo amici, amici di amici e conoscenti. Barriera di protezione tra il consumo socialmente integrato e il mercato “aperto” in cui operano gli “spacciatori” collegati alla criminalità.
Quindi, niente a che vedere con le considerazioni esposte da Barbara Cazzoli, che usa in modo strumentale il mio nome per avvalorare il suo personale punto di vista.
Detto ciò, vi auguro buon lavoro
Raimondo Pavarin

Gentile Prof. Pavarin,
ci preme notare come l’autrice abbia semplicemente citato la sua ricerca per confermare l’esistenza di un mercato sociale della cannabis – cosa che almeno ai nostro occhi non sembra “distorcere” i dati preliminari dello studio – esprimendo poi
le sue considerazioni, che Lei ovviamente può non condividere. Ciò non di meno, evidentemente tale separazione non era sufficientemente chiara, per cui di concerto con l’autrice è stata resa esplicita, anche nella partizione del testo.

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  • pdf Drugs and the Law
    Drugs and the Law. REPORT OF THEINDEPENDENT INQUIRY INTO THE MISUSE OF DRUGS ACT 1971
    Aggiunto in data: 8 Febbraio 2020 8:07 Dimensione del file: 429 KB Download: 1496