L’estate americana sta portando buoni frutti per la regolamentazione della cannabis. L’Illinois è diventato l’undicesimo Stato dell’Unione a legalizzare l’uso ricreativo per adulti, e il primo ad avviare un mercato regolato per via legislativa anziché tramite referendum popolare. Importante il sostegno degli esponenti repubblicani, tra cui il deputato David Welter: «Il proibizionismo non funziona, è ora di stabilire un mercato legale e sicuro nel nostro Stato». Come per analoghe normative locali, è stato legalizzato il possesso per i maggiori di 21 anni fino a un’oncia (28 grammi), mentre chi ha precedenti condanne detentive solo per cannabis potrà ottenerne la cancellazione. In attesa dei dettagli operativi, una volta a regime le entrate fiscali potrebbero raggiungere i 500 milioni di dollari annui.
Il Parlamento dello Stato di New York ha invece approvato l’ulteriore ampliamento dei termini della depenalizzazione in vigore da anni: semplici multe di 50-200 dollari per il possesso fino a due once (quasi 57 grammi) e cancellazione automatica di passate condanne dovute soltanto alla marijuana. Sfumata all’ultimo momento l’attesa legalizzazione, come è avvenuto nello scorso marzo in New Mexico: decisione che in entrambi i casi sembra soltanto rimandata alla prossima sessione legislativa.
Questi progressi statali trovano immediato corrispettivo a livello federale. Due gli emendamenti in calce al bilancio 2020 approvati alla Camera, ora in discussione al Senato: il Ministero della Giustizia non potrà interferire sulle normative relative alla cannabis già approvate a livello statale e territoriale, compresa quindi la legalizzazione ricreativa per i maggiorenni; e lo storno di 5 milioni di dollari dal bilancio annuale della Drug Enforcement Administration, da utilizzare in programmi di assistenza per chi è dipendente dagli oppiacei senza prevederne l’arresto o il carcere. Sempre alla Camera, nei giorni scorsi la sottocommissione su crimine, terrorismo e sicurezza nazionale ha svolto un’audizione per analizzare l’impatto delle attuali norme nazionali comunque repressive nei confronti di chi fa uso di marijuana. È la prima volta che l’assise di Washington prende di petto la questione, confermando l’urgenza di avviare il percorso legislativo per una riforma complessiva capace di integrare al meglio le indicazioni dei legislatori locali e la volontà dei cittadini, oltre a offrire garanzie per una giustizia sociale riparatrice. Non a caso la relatrice democratica Karen Bass ha subito sottolineato come lo scorso anno, su un totale di 660.000 arresti per marijuana, circa 600.000 siano stati motivati dal semplice possesso per uso personale. E dal 1971, quando Nixon lanciò la cosiddetta “war on drugs”, a parità di reati gli arresti per droga di afro-americani hanno superato di 3,73 volte quelli dei bianchi.
Un divario in netta diminuzione (il doppio) in Colorado, primo Stato Usa a regolamentare la cannabis ricreativa fin dal capodanno 2014. Da quella scelta deriva che le entrate per la relativa tassazione oggi coprono circa il 3% del budget statale annuale di 30 miliardi di dollari, mentre non aumenta il numero di giovani che fanno uso di cannabis e diminuiscono del 20% le infrazioni alla legge da parte di adolescenti. Tendenza quest’ultima confermata da un recente studio coordinato dai ricercatori di quattro università statunitensi: nei dispensari autorizzati si richiede la prova dell’età e decade quel “fascino del proibito” ancora diffuso tra i più giovani, determinando una diminuzione di circa il 10% del consumo degli adolescenti. Pur con gli aggiustamenti del caso, l’esperimento del Colorado e le iniziative politico-legislative in corso offrono mille buone ragioni per insistere sulla strada della regolamentazione.
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