Dal nostro corrispondente in USA – Si fa sempre più stretto negli Stati Uniti l’abbraccio tra lo scenario politico mainstream e le riforme legislative relative alla cannabis. Dopo le recenti primarie e le nuove proposte referendarie in vista della tornata elettorale di Novembre, la scorsa settimana ha fatto registrare ulteriori passi avanti. A cominciare dalla dichiarazione del Presidente Trump, a margine del G7 canadese, secondo cui “probabilmente” appoggerebbe le decisioni dei singoli Stati in materia, annullando di fatto la proibizione tuttora vigente a livello federale.
L’inattesa uscita è in diretta risposta al disegno di legge bipartisan appena presentato al Congresso dai senatori Gardner e Warren per emendare in tal senso il Controlled Substance Act del 1971. Al contempo la deputata Democratica Barbara Lee ha introdotto una risoluzione tesa a dare spazio alle minoranze e ai neri nella fiorente industria della marijuana, notoriamente dominata da investitori e addetti bianchi. E i sindaci di sette città dove la cannabis è già legale, hanno dato vita una coalizione intenzionata a spingere con forza per la revisone delle norme a livello nazionale.
Sindaci uniti per la riforma
Quest’ultima iniziativa, avviata dai sindaci di Denver, Seattle, Portland, San Francisco, Los Angeles, Las Vegas e West Sacramento, è stata approvata all’unanimità dall’annuale assemblea nazionale dei sindaci a Baltimore. Come ha spiegato Ted Wheeler, sindaco di Portland, il proibizionismo sulla cannabis è stato un ovvio fallimento e solo in Oregon questo settore emergente dà già lavoro a migliaia di persone e genera milioni di dollari l’anno. Aggiungendo: «Alla fine la legalizzazione arriverà in ogni Stato, e vogliamo assicurarci che ciò avvenga in maniera efficace e sicura per tutti».
Il lancio della coalizione vuole far pressione e prendere in parola il “probabile” appoggio annunciato da Trump allo STATES Act (Strengthening the Tenth Amendment Through Entrusting States) presentato il 7 giugno al Congresso. Una posizione di segno opposto alla decisione presa nel gennaio scorso dal Procuratore Generale, Jeff Sessions, di rescindere le linee-guida in vigore che di fatto garantivano il via libera alla depenalizzazione della cannabis nei singoli Stati. Decisione che, a onor del vero, finora non ha avuto alcun seguito pur se formalmente rimane ancora in piedi. Anche se, come per altre sue manovre impreviste, Trump non ha affatto attirato l’interesse dei grandi media sul tema e anzi alcuni gruppi anti-droga hanno subito alzato la voce contro quest’improvviso voltafaccia.
Nel corso di una riunione della International Faith Based Coalition a San Francisco, infatti il vescovo Ron Allen non ha usato mezze misure: «Insieme all’alcol, la marijuana rimane la droga di passaggio numero uno verso le droghe pesanti. E se dovessi davvero compiere questo passo, Presidente Trump, sarebbe una delle decisioni peggiori della tua vita. E avrà conseguenze sul tuo lascito storico». Pur se certe posizioni iper-conservatrici sono oramai in minoranza e poggiano sul mito (sfatato) della cannabis come droga di passaggio, il loro influsso politico non va certamente trascurato.
Forte proposta bipartisan al Congresso
Intanto, secondo Don Murphy, condirettore del Marijuana Policy Project, il testo firmato dai senatori Cory Gardner (Repubblicano) ed Elizabeth Warren (Democratica) sarebbe «la proposta più significativa sulla cannabis mai arrivata al Congresso». Qualora dovesse passare, la norma porterebbe alla fine dell’attuale regime proibizionista sul territorio nazionale, garantendo l’assoluta protezione a quegli Stati che hanno optato per forme locali di legalizzazione. Previsto anche il superamento di uno scoglio non da poco per le aziende del settore: le banche potrebbero operare in piena libertà con queste ultime, mentre oggi non si fidano a dare prestiti o altre agevolazioni temendo prima o poi l’arrivo della scure federale. Quello della cannabis rimane insomma un “business basato sul contante”, con tutte i problemi e le limitazioni immaginabili.
Pur con quest’inedito sforzo bipartisan, la proposta ha davanti a sé un percorso tutt’altro che semplice. A partire dall’aperta opposizione del leader di maggioranza, Mitch McConnell, che si limita a sostenere la produzione di hemp industriale. Alla Camera c’è però già il consenso di David Joyce (Repubblicano) ed Earl Blumenauer (Democratico), mentre Gardner aggiunge di averne parlato con il Presidente e di aver avuto riassicurazioni sul suo pieno «sostegno al diritto dei singoli Stati a prendere simili decisioni».
“Democratizzare” la nuova imprenditoria
Cresce anche il movimento per la “democratizzazione” imprenditoriale. Secondo un sondaggio del settembre 2017, appena il 19 per cento delle minoranze sarebbe coinvolto nella proprietà di questo business sul territorio nazionale, mentre la Minority Cannabis Business Association sostiene trattarsi di una percentuale anche minore. Comunque sia, basta fare un giro nei dispensari o nei negozi legali per rendersi conto che la grande maggioranza degli operatori sono bianchi. Motivo per cui la deputata Democratica Barbara Lee ha introdotto un’apposita risoluzione tesa a riequilibrare il quadro, non una proposta di legge vera e propria, in quanto il punto vincolante è lasciare pur sempre carta bianca ai singoli Stati. La sua approvazione sarebbe comunque un forte segnale dei legislatori verso l’applicazione di “principi di giustizia razziale”, già presenti in un disegno di legge denominato Marijuana Justice Act presentato dai Democratici lo scorso anno.
Nello specifico, il testo di Barbara Lee sollecita le autorità statali a ripulire la fedina penale di chiunque sia stato incarcerato per reati non violenti legati alla cannabis e a consentire loro di entrare nella filiera imprenditoriale, oltre a ridurre le tariffe per aprire un’attività legale di questo tipo (a New York, per esempio, si richiede una cifra non rimborsabile di 10.000 dollari). Al di là del successo o meno di queste iniziative legislative, si tratta di ulteriori passi importanti di uno scenario pro-cannabis in pieno fermento.