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Perché parlare a sinistra di droghe? Attenzione non DROGA, rigorosamente singolare e magari tutto maiuscolo,
come amano urlare a destra. Una sinistra che si riappropria del sapere declinare le differenze deve permettersi di parlare di una pluralità di sostanze: alcune legali, altre illegali, ma tutte differenti. Perché fosse per la ricerca del piacere, per curarsi, o anche solo per svegliarsi la mattina, le droghe accompagnano da millenni l’essere umano.

Parlarne significa interessarsi di diritti umani, di autodeterminazione e libertà, di criniinalizzazione e repressione, di stigma, di salute e di educazione, di ambiente e clima, di pari opportunità.

Eppure in Italia pare rimanere un tabù. Le politiche sulle droghe, in particolare quelle penali, sono fra le più pervasive
sulla società italiana- minano i diritti umani di chi le usa e mettono a rischio la salute e l’integrazione sociale; sono centrali nell’azione delle forze dell’ordine; intasano i tribunali e riempiono le nostre carceri a tassi doppi rispetto a quelli europei e mondiali. La legge sulle droghe interessa oltre un sesto della popolazione italiana ed è la seconda causa di arresto in Italia: porta in carcere un terzo dei detenuti mentre 1,5 milioni di persone, un’intera generazione, è stata oggetto di segnalazione di consumo personale negli ultimi 33 anni, l’80% per cannabis. Le politiche sulle droghe sono uno slraordinario strumento di controllo, oppressione e repressione.


Il fallimento del proibizionismo – Sono passati 62 anni dalla firma della convenzione unica dell’ONU sulle droghe, 52 da quando Richard Nixon lanciò la War on Drugs. Ne sono passati 33 da quando il Governo Craxi decise di allinearsi alla dottrina del Just say no dei coniugi Reagan, approvando la legge Jervolino-Vassalli e introducendo così pene abnormi per consumo e spaccio (fino a 20 anni di carcere). In questi decenni ne hanno fatto le spese milioni di persone, anche nel nostro paese.

Perché quella che viene spacciata come lotta alla droga ben presto è divenuta una guerra alle persone che le usano, senza mai sfiorare nessuno dei suoi obiettivi. A partire dalla piena disponibilità delle sostanze psicoattive per fini medici, che rimane un miraggio nei paesi poveri (e non solo). L’obbiettivo della convenzione del ‘61 di eliminare le produzioni illegali di oppio entro il 1984 e quelle di coca e cannabis entro il 1989, è stato un fallimento conclamato. Non è bastato: nel 1998 l’Assemblea Generale dell’ONU di New York ha rilanciato: “un mondo senza droghe in 10 anni”.
Siamo nel 2023. Dal ’98 le persone che usano droghe sono aumentate ad un ritmo doppio rispetto all’aumento della popolazione mondiale. Nessun risultato dal lato della riduzione della domanda, con prevenzione e riduzione del danno che continuano ad essere sovrastati negli investimenti di risorse dall’insensata repressione.

Senza il Covid, oggi parleremmo dell’epidemia di overdose nel Nord America: nei soli USA 305.000 morti negli ultimi tre anni, con tragici protagonisti gli oppioidi sintetici. Risultati altrettanto catastrofici dal lato della riduzione dell’offerta: interi subcontinenti sono stati teatro di carneficine, solo in Messico 300.000 morti e 80.000 scomparsi, mentre corruzione e crimine hanno minato al cuore intere democrazie, anche a noi vicine. Le droghe sono il bancomat delle narcomafie e solo l’1% del denaro riciclato viene intercettato. È una guerra infinita: tra il 2009 e il 2017, oltre 800 nuove sostanze psicoattive (NPS) hanno fatto capolino nel mercato globale. Queste, nella quasi totalità di sintesi, vanno a sostituire – per gli effetti attesi, ma con pericoli estremamente maggiori per chi le consuma – le sostanze naturali vietate dalle convenzioni. Una volta proibite, vengono sostituite nel mercato da altre, simili per effetti, ma sempre più rischiose. Il sistema di controllo globale non controlla nulla, è solo un cane che si morde la coda.

La politica della paura – Perché parlare a sinistra di droghe? Attenzione non DROGA, rigorosamente singolare e magari tutto maiuscolo, come amano urlare a destra. Una sinistra che si riappropria del sapere declinare le differenze deve permettersi di parlare di una pluralità di sostanze: alcune legali, altre illegali, ma tutte differenti. Perché fosse per la ricerca del piacere, per curarsi, o anche solo per svegliarsi la mattina, le droghe accompagnano da millenni l’essere umano.

Parlarne significa interessarsi di diritti umani, di autodeterminazione e libertà, di criminalizzazione e repressione, di stigma, di salute e di educazione, di ambiente e clima, di pari opportunità.
Eppure in Italia pare rimanere un tabù. Nella sinistra forse più che nelle case degli italiani. Sì, la riforma, a partire della cannabis, sembra essere ormai “digerita” dai programmi della sinistra italiana, compreso quello della segreteria Schlein del nuovo Partito Democratico. Basta però un tweet di un Salvini qualsiasi per far nascondere quasi tutti dietro al paravento del “no alla cultura dello sballo”. Certo, non è solo un problema della politica: l’incapacità di affrontare con razionalità il tema è molto diffuso, e coinvolge in primis i media.

Del resto, a proposito di tabù, siamo il paese permette di curarsi con la cannabis sin dal 2007 e che qualche anno fa era il quarto produttore mondiale di cannabis terapeutica. Lo stesso che oggi non riesce a garantire a migliaia pazienti la continuità delle terapie nel disinteresse del Ministero della Salute, e soprattutto quando era retto dal Ministro Speranza (sic!).

Sempre sui tabù: dal 2017 la riduzione del danno è entrata nei Livelli Essenziali d’Assistenza. Lo si è scoperto per caso, senza che nessuno se ne prendesse la paternità politica, come se parlare di politiche che salvano vite umane fosse eticamente sensibile o elettoralmente “pericoloso”. Tanto pericoloso che dopo 6 anni siamo ancora in attesa che al titolo segua un contenuto, ovvero la definizione delle linee guida nazionali.

Eppure, le politiche sulle droghe, in particolare quelle penali, sono fra le più pervasive sulla società italiana: minano i diritti umani di chi le usa e mettono a rischio la salute e l’integrazione sociale, come denunciato dal Comitato per i Diritti Civili Economici e Sociali dell’ONU; sono centrali nell’azione delle forze dell’ordine; intasano i tribunali italiani e riempiono le nostre carceri a tassi doppi rispetto a quelli europei e mondiali. La legge sulle droghe interessa oltre un sesto della popolazione italiana ed è la seconda causa di arresto in Italia: porta in carcere un terzo dei detenuti mentre 1,5 milioni di persone, un’intera generazione, è stata oggetto di segnalazione di consumo personale negli ultimi 33 anni, l’80% per cannabis.

Sono 22 i comportamenti puniti dall’art. 73 del DPR 309/90. Eppure, la gran parte degli arresti e delle condanne è per quel “o comunque illecitamente detiene” finale. Arrestare per possesso di droga è la cosa più facile. Per la perquisizione basta il sospetto e nessun mandato: basta andare in qualche piazza di spaccio, oppure un controllo sulle strade o davanti alle scuole: qualcuno con qualcosa in tasca lo si trova, sempre. A causa della profilazione etnica in molti casi si tratta di migranti. Si è anche incredibilmente sicuri dell’esito giudiziario: 7 reati per droghe su 10 trovano un condannato, il rapporto per i reati contro persone e cose è di 1 a 10. Una catena repressiva estremamente efficiente che è il volano che alimenta il sovraffollamento carcerario.

Le politiche sulle droghe sono così uno straordinario strumento di controllo, oppressione e repressione. Verso i giovani, che hanno la grande colpa di esserlo: con i loro sogni, i loro dubbi e la voglia di cambiare il mondo. Verso determinati gruppi sociali ed etnici, emarginati o da emarginare. Verso i “devianti”, che il Governo Meloni vorrebbe mandare in “comunità chiuse” (leggasi carceri privatizzate). Stigma e legge penale, usate come clave per colpire il nemico. Non è un caso che BlackLivesMatter abbia individuato le leggi sulle droghe come centrali nell’oppressione degli afroamericani e delle minoranze.

Sono anche strumento di propaganda: insieme a quelle sull’immigrazione forniscono alle mafie sia il mercato illegale, che manovalanza a basso costo e facilmente rimpiazzabile. Leggi criminogene che minano la percezione di sicurezza e la qualità della vita nelle nostre città, fornendo facili bersagli alla becera propaganda della destra xenofoba. Dall’altra parte una sinistra miope e insipiente che, quando ha potuto, non ha mai provveduto alla loro cancellazione.

Il tempo della riforma è ora – Una volta liberi da strumentalizzazioni e filtri ideologici, è chiaro come la riforma delle politiche sia urgente. La cannabis è l’apripista. Uruguay, Canada e 22 Stati USA hanno legalizzato la cannabis per gli adulti, aprendo una crepa nel monolitico sistema di controllo globale. Malta ha decriminalizzato l’uso personale e la coltivazione anche associata di cannabis. La Germania è pronta a fare lo stesso passo e sperimentare forme più avanzate di legalizzazione.

Le evidenze e i dati dimostrano che la regolamentazione legale non è un salto nel buio. È in effetti l’unico modo di garantire la salute delle persone che usano sostanze, prevenendone gli abusi, favorendo l’autoregolazione e il controllo sociale. La legalizzazione toglie risorse alle narcomafie, ne libera alle forze di polizia che possono rivolgere l’attenzione ai reati con vittime. Inoltre, è una grande occasione di sviluppo economico e di entrate per lo Stato.

Oggi le droghe sono solo un semplice punto di programma. La legalizzazione della cannabis, la decriminalizzazione dell’uso di tutte le sostanze, l’investimento in educazione e prevenzione e nei servizi di riduzione del danno sono invece politiche efficaci che hanno solide basi scientifiche. Politiche che rispettano i diritti umani e difendono la salute delle persone, che guardano al futuro dando fiducia ai giovani e investono sull’intelligenza e sulla responsabilità. Serve davvero così tanto coraggio per avviare un’azione politica volta sia alla riforma dalle fondamenta di tutto il sistema che alla costruzione di ulteriore consenso su questo?

*Segretario Forum Droghe

[Fonte: l’Unità del 23 maggio 2023]