Domani, 29 novembre, nella cornice del cosiddetto Salone della giustizia, ci sarà un momento importante e serio di discussione. La Commissione mista del Csm per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza presenterà gli esiti del suo lavoro e avanzerà un consistente pacchetto di buone proposte. Il punto di partenza è lo stato drammatico del sistema penitenziario, evidenziato – dice il documento finale – da due indicatori: il numero di detenuti, il numero dei suicidi e dei tentativi di suicidio avvenuti tra le mura del carcere.
Quindi, il lavoro si è mosso da quella insopportabilità del carcere attuale, già da tempo evidenziata dallo stesso Capo dello Stato e che finora non ha trovato interventi che siano andati al di là del mero contenimento della crescita, dei piccoli ritocchi, senza incidere sui nodi di fondo.
Le proposte si muovono in tre direzioni: favorire le uscite, limitare gli ingressi e incidere sulla durata dei provvedimenti che interessano i singoli detenuti, semplificandone e razionalizzandone i percorsi. Da qui un quadro dettagliato d’interventi, di modifiche normative e di soluzioni organizzative, tenute insieme da alcune ipotesi. La prima è che gli automatismi introdotti quali la preclusione ai recidivi dei benefici penitenziari (la legge ex Cirielli) e l’obbligatoria custodia in carcere di chi è imputato di un reato incluso in un lungo ed eterogeneo elenco, hanno avuto notevole incidenza sui numeri del carcere e hanno sottratto al giudice la possibilità di decidere caso per caso sulla base della propria valutazione. Questa possibilità è ridata al giudice, riaffermandone ruolo e responsabilità. L’automatismo è mantenuto solo per i reati di criminalità organizzata e di terrorismo.
La seconda ipotesi individua nell’attuale tendenza a far comunque “passare per il carcere” anche coloro a cui si potrebbero applicare direttamente misure alternative, un fattore d’ingolfamento degli istituti e di ingiustificata sofferenza dei singoli. Da qui alcuni interventi per far sì che il magistrato di sorveglianza possa in via provvisoria applicare da subito tutte le misure alternative e per far sì che vengano valutate prima dell’emissione di un ordine di esecuzione di una condanna tutte le detrazioni applicabili.
Infine, giustamente, si individua nell’attuale normativa sulle droghe il motore produttore di carcerazione anche per chi è accusato di reati di lieve entità nonché per chi è bisognoso più di intervento di supporto che di punizione detentiva. Qui l’intervento acquista un respiro più ampio, segnalando la necessità di un’inversione anche culturale.
Proposte ragionevoli, quindi, e in grado di dare delle prime risposte concrete a un problema da tutti giudicato grave; anche vincendo le resistenze che possono sorgere tra i giudici – e sono sorte nello stesso Csm – nel riassumere la responsabilità della propria valutazione discrezionale.
Sono proposte che devono essere il corpo di un provvedimento urgente da parte governativa: l’emissione di un decreto è fondata sul piano dell’urgenza e su quello della costituzionalità, perché volto a ricondurre la detenzione nel solco delineato dalla Costituzione. Per questo ce lo aspettiamo dal ministro Severino: più volte il governo ha riversato sul Parlamento la responsabilità di andare avanti con l’ipotesi di amnistia. Ora, sull’emissione di un decreto la responsabilità è tutta sua.