Un’ordinanza dalle conseguenze imprevedibili. Un precedente che crea un potenziale effetto domino sul sistema carcerario italiano. Il magistrato di sorveglianza di Lecce Maria Gustapane ha dato un altro colpo di maglio (giuridico) alla vergogna del sovraffollamento delle nostre prigioni.
L’ordinanza depositata lo scorso 20 giugno dispone che un detenuto del carcere di Lecce debba essere subito trasferito in una cella “più adeguata alla normativa vigente”. Dal marzo scorso F. D., 64 anni, vive insieme ad altre due persone in uno spazio di 10,17 metri quadrati, un bagno da un metro quadrato con impianto di aerazione rotto, muffa ai lati delle finestre e un letto a castello che finisce a 50 centimetri dal soffitto. Una situazione osservata e descritta dal dirigente della Asl locale e che, secondo il giudice, è di oggettivo sovraffollamento.
E’ la prima volta che un magistrato di sorveglianza entra tanto in profondità nell’organizzazione interna di un istituto chiedendo addirittura lo spostamento di un detenuto. Ora dovrà succedere qualcosa. Per forza: a inizio giugno (sentenza 135 del 7 giugno 2013) la Corte Costituzionale ha stabilito che i provvedimenti del giudice di sorveglianza non possono essere disattesi né dal Dap (il dipartimento di amministrazione penitenziaria) né dal ministero dell’Interno.
A fronte di una capienza da meno di 700 posti il carcere di Borgo San Nicola ospita 1200 detenuti “in condizioni sanitarie pessime”, spiega l’avvocato Maria Pia Scarciglia, referente dell’associazione Antigone per Lecce. La casa circondariale ospita anche diversi camorristi in regime di 41 bis ed è una delle strutture più sovraffollate del nostro paese. Anche se la situazione è migliorata nel corso degli ultimi mesi sarà impossibile soddisfare le richieste del giudice. Di celle “adeguate alla normativa vigente” a Lecce non c’è neanche l’ombra. Lo ammette lo stesso direttore del carcere Antonio Fullone: “Nella sentenza si dice che lo standard debba essere fissato a 14 metri quadri per detenuto. Bene: le nostre celle non superano mai gli 11 metri quadrati e ci vivono in due o in tre. Un’alternativa potrebbe essere quella di sistemare il detenuto in una cella singola. Ma al momento questo è un lusso che non ci possiamo permettere”.
Descritto da molti come un “illuminato”, Fullone ha preso una decisione piuttosto coraggiosa in un carcere stipato fino al limite: aprire un’intera sezione. Succederà entro luglio 2013. Significa che ?€“ ad orari stabiliti ?€“ le celle rimarranno aperte e i detenuti potranno muoversi liberamente all’interno di un braccio dell’istituto. In gergo si chiama “custodia attenuata”. Una misura utile ad allentare la pressione. Nel frattempo, però, il caso rimane aperto.
Che succederà se la direzione del carcere non dovesse riuscire a soddisfare le richieste del giudice? “Le conseguenze sono inimmaginabili e potrebbero riguardare il Dap come istituzione, non solo noi come singola struttura”, spiega il direttore di Borgo San Nicola. “Fare previsioni è difficile, visto che ci troviamo in un campo del tutto inesplorato” conclude Fullone.
Qualche certezza in più ce l’ha Alessandro Stomeo, l’avvocato penalista che ha presentato ?€“ e in parte vinto ?€“ il ricorso per conto del suo assistito. “Chi non esegue un provvedimento del giudice tecnicamente commette un reato. Specie dopo la sentenza della Consulta. Il principio stabilito dal giudice di Lecce è semplice: in Italia non si possono far vivere le persone in quelle condizioni, a prescindere dal fatto che siano carcerati o no. Qui non stiamo parlando di tortura o di trattamento degradante: siamo a un livello ancora più elementare”.
Il riferimento è alla sentenza del 2011, quando un altro magistrato di sorveglianza di Lecce accolse il ricorso di un detenuto tunisino ?€“ sempre assistito da Stomeo – riconoscendogli un risarcimento simbolico di 220 euro per le “lesioni alla dignità umana” subite nella casa circondariale salentina. Il motivo scatenante era sempre lo stesso: sovraffollamento.