La suprema Corte svedese lo scorso 18 giugno ha esaminato il caso di una persona trovata in possesso di olio di CBD estratto da canapa industriale. Secondo la legge svedese, la canapa industriale che può essere oggetto di contributi da parte dell’Unione Europea è al di fuori delle normative sulle droghe narcotiche. Ma l’olio in questione conteneva THC. L’imputato era stato assolto in primo grado perchè secondo i giudici la legislazione era troppo vaga in questo ambita e non consentiva di emettere una condanna senza inficiare il principio di legalità. Ovvero, come nel diritto italiano, il che in base al quale nessuno può essere punito se un fatto non è considerato reato da un’apposita legge).
Pur senza esplicitarne la concentrazione, la corte ha condannato l’imputato per piccolo possesso di una droga soggetta a controllo introducendo il principio che, pur essendo la canapa industriale esente dalla normativa antidroga, qualsiasi preparazione che contenga una anche piccole quantità di THC ritorna sotto il controllo della normativa sulle droghe. Una decisione che ovviamente rende molto più difficoltoso il progredire del settore legato alle coltivazioni di cannabis light nel paese scandinavo.
La decisione fa il paio con la recente controversa sentenza della Corte di Cassazione italiana sulla cannabis light, che allinea l’Italia ai paesi di tradizione più proibizionista. Non che sia una novità, ma c’è da augurarsi che almeno a seguito della discussione e della possibile approvazione delle derubricazione della cannabis nelle convenzioni internazionali così come raccomandato dall’OMS, si possano fare passi in avanti. Ad esempio che sia accettato il principio proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità secondo il quale le preparazioni a base di CBD con una percentuale di THC inferiore allo 0,2% non debbano essere oggetto delle convenzioni internazionali sul controllo degli stupefacenti, e quindi anche di quelle nazionali che a queste si rifanno.