“Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore.”
Questo il testo della decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione depositata nei giorni scorsi. La questione rimessa all’attenzione delle Sezioni Unite era se fosse sufficiente che la pianta fosse idonea, per grado di maturazione, a produrre sostanza per il consumo, non rilevando la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ovvero se fosse necessario verificare anche che l’attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato.
Su quest’ultima opzione sembra essersi orientato il massimo collegio di decisione della Suprema Corte, escludendo la punibilità penale per coltivazioni che per quantità e tipologia possano ritenersi in via esclusiva per uso personale. Questo significa che comunque andranno applicate le sanzioni amministrative di cui all’art. 75 del DPR 309/90 al reo, ma che la coltivazione ad uso personale non debba venire automaticamente assimilata allo spaccio e quindi punita con una pena dai 2 ai 6 anni di carcere, anche se spesso veniva considerata fatto di lieve entità (da 6 mesi a 4 anni). La Corte ha quindi fatto sua una interpretazione della norma ampiamente diffusa nei collegi giudicanti italiani, che assolvevano il coltivatore per uso personale laddove questo fosse in qualche evidente o provato dalla difesa.
In attesa che vengano pubblicate le motivazioni va chiarito che si tratta di una decisione, pur importante, del massimo organo giurisprudenziale italiano, che non cambia il dettato della legge. Nel sistema giudiziario italiano essa semplicemente fornisce una indicazione di interpretazione alla magistratura. Le forze dell’ordine in prima battuta, i giudici di primo grado e appello, potranno comunque continuare a colpire la coltivazione come prima, sapendo però che in ultima istanza per l’attuale interpretazione della Corte di Cassazione essa non è da considerarsi reato penale.
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