Il suicidio in carcere: orientamenti bioetici
Il Cnb ritiene che l’alto tasso di suicidi della popolazione carceraria, di gran lunga superiore a quello della popolazione generale, sia un problema di considerevole rilevanza etica e sociale, aggravato dalle presenti condizioni di marcato sovraffollamento degli istituti e di elevato ricorso alla incarcerazione. La recrudescenza di questo tragico fenomeno nel corso del 2009 e nei primi mesi del 2010 rende ancora più urgente richiamare su di esso l’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica.
Anche se l’atto di togliersi la vita contiene una irriducibile componente di responsabilità individuale, la responsabilità collettiva è chiamata in causa per rimuovere tutte quelle situazioni legate alla detenzione che, al di là del disagio insopprimibile della perdita della libertà, possano favorire o far precipitare la decisione di togliersi la vita.
Il richiamo alla responsabilità sociale è rafforzato dalla considerazione della particolare vulnerabilità bio-psico-sociale della popolazione carceraria rispetto a quella generale (i detenuti sono più giovani, più affetti da malattie, più poveri, meno integrati socialmente e culturalmente). Ne deriva il preciso dovere morale a “garantire un ambiente carcerario che rispetti le persone e lasci aperta una prospettiva di speranza e un orizzonte di sviluppo della soggettività in un percorso di reintegrazione sociale”; ma prima ancora a riconsiderare criticamente le politiche penali che siano di per sé causa di sovraffollamento, poiché così facendo si pongono direttamente in contrasto col principio di umanità delle pene.
Il Comitato si è chiesto se il carcere, per come è oggi, rispetti il principio secondo cui la detenzione possa sospendere unicamente il diritto alla libertà, senza annullare gli altri diritti fondamentali (come quello alla salute, alla risocializzazione e a scontare una pena che non mortifichi la dignità umana): rilevando che in molti casi esiste una contraddizione fra l’esercizio di questi diritti e una pratica di detenzione che costringe le persone alla regressione, all’assenza di scopo, in certi casi perfino a subire violenza.
Il Cnb raccomanda alle autorità competenti di predisporre un piano d’azione nazionale per la prevenzione dei suicidi in carcere, secondo le linee indicate dagli organismi europei. Il piano dovrebbe prevedere indirizzi:
– per lo sviluppo di un sistema delle pene più aderente ai principi costituzionali (nuove normative per l’introduzione di pene principali non detentive e l’applicazione piena delle norme già esistenti che permettono alternative al carcere, come quelle per i tossicodipendenti);
– per una maggiore trasparenza delle regole interne al carcere e per una maggiore personalizzazione del trattamento, contrastando le pratiche “deresponsabilizzanti” e “infantilizzanti” che riducono all’impotenza e umiliano le persone detenute;
– per una prevenzione specifica non tanto rivolta alla selezione dei soggetti a rischio suicidiario, quanto alla tempestiva individuazione e intervento sulle situazioni a rischio in grado di travalicare la “soglia di resistenza” delle persone (quali l’impatto psicologico dell’arresto, il trauma dell’incarcerazione etc.)
– per lo sviluppo del monitoraggio e della ricerca intorno al fenomeno e per la formazione specifica degli operatori a partire dall’esame dei singoli casi di suicidio.
Comitato Nazionale per la Bioetica: troppi suicidi in carcere, occorre un piano di prevenzione
Articolo di Redazione
Nella seduta del 25 giugno 2010 il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) ha approvato il parere dal titolo “Il suicidio in carcere Orientamenti bioetici”, nato da un gruppo di lavoro coordinato dalla prof. Grazia Zuffa. Il Cnb raccomanda alle autorità competenti di predisporre un piano d’azione nazionale per la prevenzione dei suicidi in carcere, secondo le linee indicate dagli organismi europei. Riceviamo dall’osservatorio permanente sulle morti in Carcere e pubblichiamo.