Consumi di Alcol nell’approccio di Riduzione del danno
Culture del bere, politiche pubbliche, interventi
Forum Droghe, CNCA, CTCA
Summer School 2016
Centro Studi CISL, via della Piazzola 71-Firenze
Giovedì 8, venerdì 9, sabato 10 settembre
PRIMO CALL
Introduzione
Questo è il secondo appuntamento della Summer School dedicato ai consumi di alcol. Dopo la prima edizione del 2010 che ha offerto una panoramica dei differenti orientamenti -teorici e operativi – al problema alcol, questa seconda tappa è dedicata all’approfondimento dell’approccio di riduzione del danno. Intendiamo la riduzione del danno non come l’insieme di interventi di bassa soglia, comunemente identificati col “quarto pilastro” (tanto è vero che saranno presentate e discusse anche esperienze tradizionalmente inquadrabili nel pilastro “trattamento”); bensì come modello di politiche pubbliche che discende da una precisa lettura dell’uso di alcol: non è tanto il consumo in sé ad essere oggetto di attenzione, quanto i modelli del bere, che vanno compresi sia rispetto ai differenti livelli di rischio, sia rispetto ai significati sociali che assumono e ai rituali (sociali) che li scandiscono. Questi ultimi non sono altro che i cosiddetti “controlli” sociali informali sul bere, che mirano “naturalmente” a massimizzare il piacere e a minimizzare i rischi. Individuare i differenti modelli del bere è il primo passo per cercare di cogliere le variabili che influiscono sul loro cambiamento, in specie quelle economiche e sociali, alla base delle “culture del bere”. In termini di politiche pubbliche, l’approccio di riduzione del danno mira alla promozione di modelli del bere più sicuri (safe use), lasciando in secondo piano il tradizionale obiettivo della riduzione della prevalenza dei consumi.
La sostituzione dell’obiettivo primo delle politiche pubbliche svela il “cambio di paradigma”, dal “farmacocentrismo” del modello disease verso il modello di apprendimento sociale, che valorizza il ruolo delle culture (setting) nel modulare/controllare i consumi. Per una sostanza altamente socializzata e acculturata come l’alcol, l’importanza delle componenti socioculturali è più evidente al senso comune. Non a caso, Norman Zinberg (1979, 1984), nell’illustrare il paradigma dell’apprendimento sociale (Drug, set, setting) e in particolare ruolo del setting, prende spunto dall’analisi delle varie culture dell’alcol nella prospettiva storica.
Questa preliminare precisazione teorica serve in primo luogo a trovare un “filo” comune di interpretazione dei consumi per alcol e droghe illegali, senza trascurare le differenze. E’ un filo comune non scontato, se è vero che nel dibattito pubblico sono presenti numerosi fraintendimenti e semplificazioni: si pensi all’enfasi sulla cannabis come sostanza (illegale) mild, spesso contrapposta all’alcol come sostanza (legale) hard, volendo trarne le conseguenze in termini di alleggerimento di “controlli formali” normativi per la canapa e di inasprimento degli stessi per l’alcol. Ancora una volta, questa linea è perfettamente congruente col tradizionale farmacocentrismo.
Dall’altro lato, il rimando al cambio di paradigma offre una nuova cornice alle prestazioni sociosanitarie, consentendo di cogliere la riduzione del danno come approccio che copre l’intera gamma degli interventi (nei differenti nodi della rete dei servizi, rivolti a persone a livelli differenti d’uso): dalla prevenzione, all’automonitoraggio, al counselling, alla presa in carico per trattamenti più intensivi, etc.
I temi
Le culture del bere oggi in Italia
I consumi di alcol sono sempre più rappresentati come “emergenza” giovanile, specie nelle scene notturne del divertimento: i comportamenti di “disturbo” che danno luogo ai conflitti urbani più comuni (rumore notturno etc.) sono comunemente addebitati alla sostanza tout court. Ma come sono cambiati i modelli di consumo in Italia? Possiamo ancora parlare di una cultura del bere “mediterranea” fra i giovani, distinta ad esempio da una cultura nord americana? Quali sono i tratti distintivi delle culture del bere odierne e quali variabili hanno più inciso sul cambiamento? Quali le differenze fra generazioni? Ci sono poi le culture del bere dei migranti, assai diverse fra i vari gruppi. E c’è il “bere di strada” di gruppi marginali, fenomeno che ha tratti di somiglianza con le “scene di droga” degli anni ottanta e novanta, se non altro per i conflitti sociali che rischiano di innescare.
Le politiche pubbliche
Le politiche pubbliche sembrano orientate a intensificare i controlli “formali”: diminuzione dei tassi alcolici alla guida permessi, astinenza completa per i più giovani, punizione severa delle infrazioni, test sui luoghi di lavoro etc. Cominciano a essere introdotti anche limiti di orario per la vendita di alcolici (vedi in autostrada) e c’è chi vorrebbe ritornare alle fasce orarie limitate, sull’esempio degli orari di apertura dei pub nel Regno Unito, rimasti in vigore fino agli anni settanta. A fronte di questo sviluppo, sono perlopiù sottovalutati i fattori socioeconomici e ancora di più i controlli “informali”, ossia il ruolo delle culture del bere. Ciò avviene, nonostante la ricerca abbia dimostrato l’impatto preminente dei fattori socioculturali (ad esempio il progetto AMPHORA, un recente studio europeo). Come le politiche pubbliche potrebbero far leva sui controlli informali?
Alcolismo e bere controllato/incontrollato: gli interventi sociosanitari
La costruzione del problema bere/alcolismo ha profondamente influenzato la successiva costruzione del problema droghe (illegali). Si pensi al modello disease (o medico), tuttora dominante nei servizi dipendenze, che nasce dalla lettura dell’abuso di alcol, quando si passa dal biasimo verso l’ubriachezza (modello morale) all’individuazione di persone con speciale propensione al bere (modello disease). Tuttavia i due modelli sono progrediti in sostanziale convergenza, come si vede dall’esperienza degli Alcolisti Anonimi. Non a caso l’enfasi sull’astinenza è comune ad ambedue i modelli. Questa prospettiva storica non è sufficientemente presente agli operatori delle dipendenze, che perciò hanno spesso la percezione di “non essere preparati” ad affrontare il problema alcol.
In realtà, anche gli interventi che si rifanno al modello dell’apprendimento sociale, sono stati sviluppati sia per l’alcol che per le droghe. Tutti i costrutti che insistono sulla componente setting e set (ad esempio il modello TransTeoretico di Cambiamento) sono stati perfino più utilizzati per l’uso di alcol che per le droghe illegali, e lo stesso di può dire per l’ampio ventaglio di ricerche sul “natural recovery”, così preziose per lo sviluppo di interventi innovativi: si vedano Alan Marlatt e la sua elaborazione della relapse prevention; Jim Orford con le prime ricerche sulla validità di obiettivi plurimi dei trattamenti (e non solo di astinenza) per i consumatori intensivi di alcol; Harald Klingmann e i Sobell con le ricerche sul “bere controllato”. Per tornare alla percezione di inadeguatezza di molti operatori delle dipendenze: in realtà ciò che è sempre più inadeguato è il modello operativo di riferimento (disease). Dunque, chiarire una prospettiva differente è il primo passo di empowerment di chi lavora nei servizi.
Su questa linea, diversi sono gli ambiti di approfondimento:
- La controversia storica in tema di alcol e terapia: anche i bevitori “incontrollati” possono retrocedere al bere “controllato”? Quali sono le strategie “naturali” di autoregolazione dei bevitori? Il bere controllato può essere un obiettivo del trattamento? Si può ipotizzare un modello di intervento flessibile lungo le “naturali” oscillazioni dei consumi, in una logica proattiva, che supera la vecchia ripartizione prevenzione/terapia?
- Un bilancio dell’attuale offerta di programmi terapeutici sull’alcol, con uno sguardo ai processi sociali di etichettamento e stigmatizzazione conseguenti la designazione dell’utente come “alcolista”.
- Panoramica delle esperienze innovative già presenti nei servizi: dai Sert, alle strutture residenziali e diurne, alla bassa soglia e ai servizi di prossimità.
- Modelli flessibili di monitoraggio del bere e di “supporto” del bevitore, fra controllo/non controllo. Sono presenti diversi programmi dal Moderation Management, al Guided Self Change (Sobell et al., 1996, Sobell, Sobell, 1993), al Behaviouring Self Control Training (Miller, 1978; Saladin & Santa Ana, 2004). Come può essere adottata questa tecnica nel contesto italiano dei servizi pubblici o a finanziamento pubblico?
Questa edizione della Summer School avrà come key note speaker il professor Harald Klingemann, studioso e ricercatore nel campo dei comportamenti additivi da alcol, autore fra gli altri del volume “Come promuovere il self change per i comportamenti additivi: implicazioni pratiche per la prevenzione e il trattamento” (2010), insieme a Linda Carter-Sobell.
Quote di iscrizione
La quota di iscrizione è di 100 euro più IVA se dovuta. I soci di Forum Droghe sono esenti da IVA. La quota comprende il materiale di documentazione e lo snack di benvenuto del giovedì e il pranzo buffet degli altri due giorni dei lavori (9, 10). Per le iscrizioni, scrivere a formazione@fuoriluogo.it.
Il pernottamento è a carico dei partecipanti, che prenoteranno direttamente al Centro Studi Cisl: 055 5032111