La Camera ha approvato il Disegno di legge 1660 sulla sicurezza. Senza nessuna modifica, nonostante molte voci di giuristi, esperti, garanti, associazioni ed organizzazioni della società civile, del mondo laico e cattolico, si siano espresse negativamente, motivando con serie ed approfondite argomentazioni la richiesta di ritiro di un testo impossibile da emendare, per i contenuti, e soprattutto per la idea di giustizia che lo informa.
Provvedimenti che sfruttano le insicurezze delle persone, alimentandone le paure per ottenere consenso e legittimazione politica. Che limitano le libertà e le garanzie democratiche, con una evidente torsione autoritaria che ci riporta al “sorvegliare e punire”, alimentando al tempo stesso la convinzione che il carcere sia un deterrente, che pene severe prevengano la commissione di reati. Un chiaro esempio è che fra i reati venga inserita la resistenza passiva in carcere: le contestazioni dei detenuti potranno essere punite con pene fino ad 8 anni. Anche il banale rifiuto di rientrare in cella, la protesta pacifica e nonviolenta per le condizioni di vita disumane e degradanti prevede sanzioni detentive pesanti. Una rivendicazione di diritti si trasforma in reato. E questo trattamento riguarda anche le persone che si trovano nei centri di accoglienza per migranti e nei CPR, che non sono luoghi di detenzione penale, ma come tali vengono intesi dal Governo, giungendo al ridicolo con il divieto di possesso di una scheda telefonica. Nella stessa logica si inserisce l’articolo che prevede l’aggravamento delle pene per chi, in occasione di scioperi o manifestazioni, impedisce la circolazione ordinaria. Gravissima, poi, l’autorizzazione alla detenzione di una seconda arma senza licenza per gli operatori di polizia. Contemporaneamente si aboliscono alcuni reati contro la Pubblica Amministrazione.
La Cgil, nell’audizione in Commissione affari costituzionali del 16 maggio, aveva già espresso netta contrarietà al provvedimento.
Il disegno di legge si inserisce nel percorso di attacco alla Costituzione che il Governo Meloni sta portando avanti fin dal suo insediamento, con i progetti di autonomia differenziata e di premierato, e che persegue senza tener minimo conto di nessuna delle critiche e dei rilievi portati, fuori e dentro il Parlamento.
Vista l’assoluta mancanza di risposte, è stata proclamata da Cgil e Uil una prima giornata di mobilitazione, per il 25 settembre, a Roma, davanti al Senato. Alla mobilitazione hanno già aderito molte organizzazioni si occupano dei temi della giustizia, del carcere, dei diritti civili, come Forum Droghe, Società della Ragione, Antigone, Arci e CNCA.
Sarà presente uno striscione della campagna “Madri fuori dal carcere, con i loro bambini”, impegnata per i diritti delle madri in carcere e dei loro bambini. L’idea di mettere in carcere le donne incinte e con figli di età inferiore ad un anno, peggiorando il codice Rocco, è paradigmatica di come questo governo intende i diritti delle donne e la genitorialità, tanto sbandierata quando fa comodo per propagandare un’idea di famiglia fuori dal tempo. È la dimostrazione plastica di una idea di giustizia esclusivamente punitiva, classista, ed anche razzista, viste le dichiarazioni riguardo le borseggiatrici Rom di esponenti del governo.
Garantire la sicurezza e la sua percezione da parte di cittadine e cittadini significa agire con politiche sociali, abitative, educative che guardino all’inclusione ed al superamento delle difficoltà, non solo economiche, che molte persone vivono. Significa pensare a città accoglienti, dove i bisogni di tutte e tutti, soprattutto delle persone più fragili, siano compresi ed accolti.
Il 25 settembre sarà soltanto la prima delle manifestazioni che dovranno vederci tutte e tutti impegnate/i perché il disegno di legge non passi: non è con politiche giustizialiste, panpenaliste, securitarie, che si risponde ai bisogni di giustizia sociale delle persone.