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Sono state le conseguenze delle lesioni trovate sul suo corpo a uccidere Stefano Cucchi. Precisamente un “edema polmonare da insufficienza cardiaca in un soggetto con bradicardia intimamente correlata all’evento traumatico e all’immobilizzazione susseguente al trauma”, ultimo anello di una “catena di eventi” che ha la sua origine in una “frattura lombare L3 recentissima, come prova l’assenza di callo osseo”, avvenuta tra le 13 e le 14,05 del 16 ottobre 2009. Quando cioè il geometra romano, arrestato per droga e morto una settimana dopo all’ospedale Pertini di Roma, si trovava in Tribunale.

Non ha dubbi il pool di esperti incaricato dalla famiglia del ragazzo di fare luce sulla sua morte, e che ha illustrato alla Camera gli esiti del suo studio di radiologie, tac e risonanze magnetiche eseguite sul cadavere.
Esiti che spostano l’attenzione dalle negligenze dei medici del Pertini (evidenziate invece dalla perizia della Procura e pure riconosciute e stigmatizzate dai periti di parte) agli “eventi traumatici” considerati alla base della morte del giovane. Una “catena”, appunto, hanno spiegato i medici legali Vittorio Fineschi, Giuseppe Guglielmi e Cristoforo Pomara, partita da lesioni al volto, all’addome ma soprattutto alla colonna vertebrale “compatibili con traumi reiterati di tipo contundente e meccanico-violento” sulla cui genesi “non c’è nessuna perplessità, come provano le emorragie dei muscoli lombari e della pelvi in corrispondenza del rachide”. Ma, si legge nella relazione, “i pazienti con lesioni midollari alle prime vertebre lombari presentano un alto rischio di disfunzione cardiaca”.

E Cucchi, arrivando al Pertini il 17 ottobre, era appunto in brachicardia: solo 49 battiti al minuto, contro i regolari 60-90. Insomma: la lesione avrebbe causato l’insufficienza cardiaca, questa l’edema e quest’ultimo la morte. E se nella perizia della Procura si parla di lesioni compatibili con una caduta sui glutei, il professor Fineschi ha replicato che il collegio di parte dà invece “un ruolo a un trauma diretto, un trauma chiuso”. Come, hanno citato a titolo d’esempio, un calcio o un pugno. La frattura inoltre sarebbe causa dei problemi di minzione che hanno portato i sanitari a cateterizzare Cucchi, nella cui vescica sono stati trovati circa 1,4 litri di liquido, contro i normali 300-400 cl. I periti, sulla base dei certificati dei sanitari che visitarono Cucchi il 16 ottobre, hanno poi ricostruito quasi al minuto cosa è accaduto in quelle ore. Alle 14,05, in Tribunale, accusa dolori ed ecchimosi alla schiena.

Alle 16,45 nell’ambulatorio di Regina Coeli il medico ne chiede l’immediato trasferimento al Fatebenefratelli: Cucchi ha il volto e la schiena tumefatti, camminare gli è doloroso. Alle 20,11, al Fatebenefratelli, i dolori alla schiena di Cucchi sono insopportabili, non riesce più né a stare in piedi né a camminare “in relazione alla frattura vertebrale”. I sintomi durano da circa sei ore, annotano i medici, per cui, concludono i periti di parte, “l’evento lesivo si può datare con precisione tra le 13 e le 14,05 del 16 ottobre”.

La ricostruzione non solleva però i medici del Pertini dalle loro responsabilità: la loro condotta è stata “viziata da negligenza, imperizia e imprudenza”. “Cucchi era gracile ma sano, senza patologie riscontrabili – hanno spiegato i medici legali – Se trattato adeguatamente si sarebbe evitato il decesso. Però non è morto per abbandono, ma per le conseguenze del trauma”. “Ho fiducia nei nostri consulenti – ha commentato la sorella di Stefano, Ilaria, da sempre sostenitrice della tesi del pestaggio – Ciò che ci è stato detto mi sembrano verità incontestabili. Fa male sapere quanto mio fratello ha sofferto nei suoi ultimi giorni, che sia morto pensando che lo avevamo abbandonato. Ma non si è spento come volevano farci credere”.

E contro la “disinformazione” che avrebbe “circoscritto e allontanato il momento in cui Stefano ha subito violenza, concentrandosi sul Pertini” si è scagliato il presidente di ‘A buon dirittò Luigi Manconi, mentre l’avvocato dei Cucchi, Fabio Anselmo, ha ringraziato i pm (“un impegno ammirevole per la verità, cosa né facile né scontata”), ma con la mente è al processo. L’accusa è di omicidio preterintenzionale su cui si innesta un omicidio colposo, ha ricordato riferendosi alle tre guardie carcerarie e ai sei medici nel mirino della Procura: “Discutiamone nell’aula del giudice”.