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Credo di essere stata presente in Forum Droghe fino dall’inizio – l’Assemblea di Roma nel 1995 – sollecitata da due interessi principali: il primo è stato quello politico, perché allora il tema delle droghe, anzi della “droga”, senza declinazioni che ne esplicitassero la complessità, era qualcosa che riguardava la patologia, l’assistenza o al massimo la salute, e mai qualcosa relativo a stili di vita e apprendimenti sociali, e tanto meno relativo ai diritti (alla scelta, al tipo di aiuto richiesto, alle aggregazioni). E il secondo interesse, non meno importante, è stato quello professionale. Il mio lavoro ha riguardato e riguarda la ricerca, la didattica e la “trasmissione delle conoscenze” (il processo, cioè, per cui il “sapere” diventa qualcosa di collettivo, condiviso e socialmente fruibile). Anche in quest’ambito la droga, sempre rigorosamente al singolare, veniva allora solitamente affrontata in senso deterministico e familistico. Deterministico perché si era alla ricerca di predittori psicologici – che poi, nel corso degli anni, diventeranno neurobiologici – che spiegassero perché si finiva nel “tunnel della droga”. E familistico perché l’unità di ricerca, anche quando ci si spostava dalle variabili individuali a quelle interpersonali, era l’ambito familiare, con le sue dinamiche e le sue patologie. Con il merito, va riconosciuto, di leggere le relazioni disturbate e disturbanti anche nelle famiglie cosiddette “normali”.

L’arrivo di un modello, teorico e applicativo, come la Riduzione del Danno ha messo in discussione molte certezze consolidate. Non è stato facile rivedere forme di pensiero apparentemente funzionali, e tuttavia la RdD comprendeva molto più di quanto apparisse nella banalizzazione corrente: prima tra tutti la centratura sulle capacità e competenze del consumatore, sulle sue risorse prima/invece che sui suoi deficit, sulle potenzialità del lavorare con invece che su di loro. E ancora: il supporto tra pari, la critica a una prevenzione distinta in primaria, secondaria e terziaria, e poi gli stili di vita e le scene del consumo, l’aiuto professionale al gruppo e non solo al singolo. Temi cari alla psicologia, in particolare alla psicologia di comunità, che non si potevano eludere.

La sfida – che ho condiviso con Grazia Zuffa, tra gli altri – era quella di evidenziare un punto di vista altro non solo a livello politico, ma anche a livello scientifico, terreno in cui in ambito nazionale si scontavano molti ritardi. Era come se le elaborazioni teoriche (e, di conseguenza, politiche) e il sistema di protezione collettivo riuscissero a confrontarsi solo con le marginalità subite (la povertà, la disabilità, o al massimo il disagio psichiatrico) e non con le difficoltà legate a una scelta. Complice anche un’egemonia culturale centrata sull’approccio individualistico, la droga rimaneva una scena oscura, dove il tentativo era quello di riportare il disagio ai deficit dei singoli che andavano ricondotti alla normalità. Anche in quel caso, senza valutare abbastanza che la normalità era il problema, come vent’anni prima diceva Bateson, e come stiamo verificando oggi, in tempi di crisi COVID19.

Da notare che tutto ciò valeva per le sostanze illegali, mentre le altre – alcol, gioco d’azzardo – seguivano altri paradigmi.

Il sapere scientifico, comunque, non è puramente accademico, ma impatta sui sistemi di cure e di care, formando, nel bene e nel male, i futuri professionisti, fornendo aggiornamento ai servizi, offrendo – se e quando richiesti – strumenti di monitoraggio e valutazione.

Cosa dire a 25 anni di distanza? è chiaro che le elaborazioni sono andate avanti, probabilmente più per la passione e l’interesse nostro – di Forum Droghe e di altre associazioni/organizzazioni alleate in questo percorso – che per i riconoscimenti o anche per le auspicate “spinte dal basso”. Non è infrequente, infatti, trovare resistenze anche negli stessi operatori, ridimensionati adesso nel loro ruolo sociale, perché l’approccio di RdD pone domande, interroga, discute, mentre le brain sciences sembrano acquistare sempre di più lo statuto di certezza e indiscutibilità.

Oggi, in un momento in cui sperimentiamo il nostro senso del limite di fronte a una pandemia, in cui emergono le disuguaglianze anche nelle criticità universali, penso che le nostre priorità siano ancora di più lo studio e la riflessione, beni preziosi da non lasciarsi espropriare, e – conseguentemente – le scelte politiche adeguate.

Come abbiamo detto nei nostri ultimi appuntamenti pre-COVID19, non solo è importante che la politica si confronti con i temi della società reale, senza rimandarli adesso a un fantomatico dopo crisi (le dipendenze continuavano ad esistere anche nell’emergenza), e che apprenda a valutare scientificamente le scelte fatte, scegliendo priorità e metodi socialmente e scientificamente appropriati.

Partecipa all’assemblea on line di Forum Droghe il 13 giugno 2020.