L’onorevole del PD De Maria ha presentato nei mesi scorsi un progetto di legge che inasprisce le pene per fatti di lieve entità per droghe (da 2 a 6 anni, 1 in più che nella proposta del Governo nel decreto Caivano). Il deputato democratico, fra i principali collaboratori di Bonaccini, parte da un assunto scorretto, molto in voga a destra. Sostiene infatti – nella relazione al suo progetto di legge – che siano troppi gli spacciatori che, accusati di fatti di lieve entità, non vengono tradotti in carcere per provvedimenti di custodia cautelare. Questa premessa omette di considerare il fatto, evidente a tutti coloro si approcciano con minimo spirito critico alla legislazione sulle sostanze, che oggi la detenzione causata dal Testo Unico sulle droghe è già abnorme. Lo è a causa di un impianto penale che è sproporzionato anche rispetto al Codice Penale fascista di Rocco. Troppi semmai sono quelli che vi entrano. Come dimostra il Libro Bianco sulle droghe, oltre iI 34% dei detenuti è in carcere per droghe: il doppio rispetto alla media europea (18%) e quasi di quella mondiale (22%). La distinzione fra possesso per uso personale e spaccio è talmente labile, e grande la variabilità dei giudizi rispetto alla lieve entità, che sono le persone con minori mezzi, sia culturali che economici, a finire in carcere. Una detenzione che finisce per essere sociale, e che è criminale pensare di appesantire ulteriormente, per di più con persone senza sentenza definitiva.
Invito l’On. De Maria a fare la pace con sé stesso, con il Diritto e con il senso delle parole. Non può dichiararsi, come ha fatto oggi rispondendo alle polemiche sul suo disegno di legge, per la depenalizzazione della cannabis e poi proporre di aumentare le pene per i fatti lievi di spaccio parificandoli – proprio per la cannabis – alle condotte non lievi. In questo modo determina un assurdo giuridico (cancellando de facto la lieve entità per cannabis), e confligge con il senso delle parole. Depenalizzare infatti significa fare l’esatto contrario. Cercare di limitare l’assurdo e pesantissimo giogo penale che caratterizza le politiche sulle droghe in Italia, lavorando per un governo sociale del fenomeno, anche attraverso la regolamentazione legale. Il resto si chiama proibizionismo.
Mi auguro che il Partito Democratico e la sua Segretaria Schlein, che nelle elezioni primarie da cui è uscita vittoriosa ha speso parole importanti per la legalizzazione e la decriminalizzazione, diano seguito a questa impostazione. E’ necessario aprire un confronto sia all’interno del Partito – che evidentemente ne ha bisogno – ma anche con la Società Civile che sul tema è impegnata e con i cittadini, al fine di sostenere una proposta riformatrice che si opponga al populismo penale e alla ventata repressiva del Governo Meloni.