Certamente il decreto sulla terapia con la cannabis, pubblicato nei giorni scorsi, è benvenuto: si aspettava da tempo una regolamentazione nazionale chiara, così da evitare tutte le interpretazioni difformi delle leggi attuali, che già in realtà permettono l’utilizzo terapeutico della pianta.
Guarda caso, però, è capitato più volte che aziende sanitarie si celassero dietro bizantinismi interpretativi pur di non concedere il farmaco ai malati. Da tempo quindi sollecitavamo una presa di posizione nazionale. Quando però è stata istituita la commissione ministeriale per elaborare il decreto, proprio le associazioni e le società scientifiche interessate (quindi i medici e i farmacisti che da anni studiano il problema, ci lavorano e hanno contatto diretto con i malati) nonostante la richiesta ufficiale di farne parte, sono state tenute fuori.
Il risultato è un decreto che, invece di fare chiarezza, crea ulteriore confusione.
Nonostante alcune precisazioni giunte dal Ministero, infatti, rimangono molti dubbi e quesiti irrisolti riportati anche da Giorgio Bignami nella sua rubrica su il Manifesto del 9 dicembre scorso. E non aiuta che la notizia sia stata lanciata da alcuni organi di informazione come se fosse stato pubblicato un “bugiardino” simile a quello di altri farmaci, con posologia, indicazioni e controindicazioni. Essendo la cannabis un farmaco “galenico” (preparato cioè direttamente da un farmacista) per legge non può esistere un “bugiardino”, ma spetta al medico decidere come usare la sostanza. Quindi, come ci ha risposto direttamente l’Ufficio Centrale Stupefacenti, “è improprio parlare di indicazioni”. Non sono sottigliezze di linguaggio: se si seguisse quanto in maniera fuorviante è stato pubblicato, i malati ad esempio di epilessia, e che sono già in cura, si vedrebbero tolto il farmaco! E poi tutti gli altri dubbi: dall’obbligo per le farmacie di titolare gli estratti con metodi estremamente costosi, allo status delle piante con CBD (molecola che non ha effetti psicoattivi) che non si capisce se debbano essere considerate farmaco o integratore; dalla confusione tra sostanza attiva e droga vegetale (che sono diverse dal punto di vista legislativo) alle modalità di compilazione delle ricette e delle schede di monitoraggio. Sulla ricetta vanno scritti età e sesso del paziente (dati inutili in quanto il medico già scrive una sua cartella clinica)? Alcuni interpretano il decreto dicendo sì, altri no, con la conseguenza che alcune ricette, accettate senza problemi da alcune farmacie, sono state rifiutate da altre. E le schede di monitoraggio vanno compilate anche per i pazienti già in cura o solo per i nuovi? Questi sono solo alcuni esempi di quesiti che abbiamo inviato al ministero (cfr Giorgio Bignami su questo stesso sito), ma intanto come si debbono comportare il medico che prescrive e il farmacista che riceve la prescrizione? Se già erano pochi i medici che si assumevano la responsabilità di prescrivere la cannabis, adesso, con tutte queste complicazioni, saranno ancora di meno. E poi, quel riferimento alle 24 ore dopo l’assunzione in cui il paziente non deve guidare, pur non essendo una vera “controindicazione” come quelle a cui vanno incontro i farmaci normali, come va interpretata? Nemmeno per la morfina esiste un divieto esplicito del genere, e molti malati , che con la terapia sono riusciti a tornare a una vita quasi normale, sono ora spaventati perchè hanno paura di non poter più guidare.
Il lato positivo del decreto è che dovrebbe aprire a una produzione italiana che abbatta i prezzi, ma nel frattempo si continua ad importare i farmaci dall’estero. Quando fu fatto l’accordo ministeriale per la produzione si disse che il farmaco sarebbe stato disponibile da metà 2015, poi si è slittati a fine anno, ora si parla di metà 2016, forse fine 2016…