Saranno scappate dalla gita scolastica, le tre olandesissime quattordicenni che a mezzanotte in piazza Rembrandt ti chiedono come arrivare al quartiere a luci rosse? E che dirà l’imam delle due ventenni islamiche in rigoroso hijab ma indossato su fuseaux e minigonna che si scattano foto ricordo in faccia a Casa Rosso, tempio del sesso integrale live a 30 euro a spettacolino? Sono, in realtà, gli ultimi pellegrinaggi al capezzale di una Amsterdam che sta per sbaraccare. A fine gennaio nel Red Light District hanno serrato 350 vetrine di prostitute su 900; a inizio marzo il ministro della Giustizia Ernst Hirsch Ballin ha annunciato che vieterà la vendita di semi di cannabis e attrezzature per coltivarla in casa; e anche la sorte dei coffee-shop, una settantina nel solo centro di Amsterdam, sembra segnata. “Hanno cominciato vietandoci di vendere alcolici, entro il 2009 sarà proibito fumare hashish o marijuana qua dentro, per un po’ continueremo a vendere, ma tempo cinque anni spariremo tutti”, racconta Rishinel, il surinamese dell’Extase sulla Oudezijds Achterburgwal, mostrandoti il menu: 5 euro una fetta di Space Cake, verde torta alla marijuana, 15 euro 1,7 grammi di Jack flash o di Super afghan, 25 euro 2,7 grammi di Blue berry o White Widow o 3,7 di Kashmir, sconti comitive.
Governo e municipalità hanno deciso di ribaltare l’immagine, sempliciotta ma universale, di una città dove quasi tutto è lecito, e di un paese dove, costi quel che costi, la tolleranza è storia, legge, costume: “Molti”, spiega il sessantenne sindaco laburista Job Cohen, “hanno l’impressione che il Distretto a luci rosse sia un romantico quartiere da salvaguardare. Ma, se mai è esistita davvero, una simile romanticheria è finita da tempo: attratto dalla concentrazione di prostituzione e coffee-shop, il crimine ha messo qua radici profonde, e noi non possiamo chiudere gli occhi sugli abusi contro le donne, il traffico di carne umana, il riciclaggio di denaro sporco”.
Smagrire il business, dunque, delocalizzare, controllare ciò che resta. Con le buone o con le cattive, bastone e carota. Chiuso lo Yab Yum, storico lussuoso bordello, messi sotto accusa per riciclaggio tre dei sei grandi proprietari di locali e vetrine del District, al numero uno ‘Charlie il grasso’, come chiamano Charles Geerts, una società costituita da Comune, governo, banche e privati ha pagato 25 milioni di euro in cambio della proprietà di un centinaio di vetrine e dell’impegno a cambiare business: si tenga gli alberghi ma rinunci al resto, e chiuda entro i primi di aprile anche Casa Rosso.
Per evitare che le attività cacciate dalla porta rientrino dalla finestra sotto mentite spoglie e tramite prestanome, il controverso Bibob, Probity screening act, consente alla pubblica amministrazione di vagliare preventivamente e sulla base di semplici sospetti la qualità degli imprenditori che intendono investire nei cosiddetti settori a rischio. Che se ne fa il Comune delle vetrine dismesse dalle ragazze? Ci ha piazzato esposizioni e laboratori di giovani stilisti e designer del progetto Redlightfashion come Jan Taminau, Bas Kosters, Roswitha van Rijn e altri: 18 al momento ma un solo negozio, slogan ‘Vendiamo gonne, non donne’, logo ‘I amsterdam’ con ‘I am’ in rosso a dire che è questo il vero volto della città, non quello della vetrina e del sex shop delle porte accanto.
Niente di più che una ragionevole operazione di riequilibrio, di sostanza e d’immagine, sotto la pressione dell’Unione europea perché l’Olanda si allinei a una serie di normative comuni? Al contrario. Le maglie che si stringono su sesso e droga sono solo l’aspetto più appariscente di un sovvertimento assai più profondo del modo in cui gli olandesi pensano e rappresentano se stessi e la loro controversa identità: retta su un crogiuolo di contraddizioni e di aggiustamenti successivi, e costruita sull’orgoglioso ancorché nascosto nazionalismo di chi si sente da sempre cittadino del mondo. “Noi olandesi ci pensavamo invulnerabili: non siamo forse l’avanguardia di una storia che va nella nostra direzione? Un esempio di tolleranza e convivenza che presto o tardi anche gli altri imiteranno? Scopriamo invece, ed è una buona cosa, che la nostra tolleranza è in larga misura indifferenza, che dietro i matrimoni gay e lo spinello libero c’è una società molto più conformista di quanto si crede, disciplinata, strutturata per integrare e regolare ogni cosa: l’idea protestante secondo cui è inaccettabile che la vita non sia in conformità con la legge”. Una picconata al ‘modello olandese’, di cui lui nega anche l’esistenza, questa di Paul Scheffer, docente di Sociologia urbana all’Università di Amsterdam e massimo studioso di ‘Come l’immigrazione sta cambiando l’Europa’, sottititolo del suo ultimo libro ‘La terra d’arrivo’. Perché l’elemento cruciale che obbliga l’Olanda a ridefinire la propria identità è, assai più dei diktat dell’Unione europea, l’Islam.
Il quartiere a luci rosse
A causa dei numeri, intanto: dati del ministero, metà della popolazione di Amsterdam, L’Aja e Rotterdam ha origine e background non-olandese, un terzo ‘non-occidentale’ (il doppio della media del paese con i suoi 16 milioni di abitanti): in larghissima maggioranza vengono da Marocco, Turchia, Suriname cioè ex Guyana olandese, ma ormai ci sono più afghani e iracheni che italiani, storica ondata migratoria del dopoguerra. È vero, l’economia continua a tirare, gli investimenti stranieri nel 2007 sono cresciuti del 25 per cento, e un progetto di legge ministeriale spinge gli ultrasessantacinquenni a continuare a lavorare garantendo stipendio e pensione intera; ma, spiega Han Entzinger, docente di Studi sull’immigrazione e l’integrazione alla Erasmus Universiteit di Rotterdam, “tra quanti percepiscono i sussidi dell’assistenza pubblica, 4 su 10 sono ‘non-occidentali’, includendo nel conto la seconda generazione. Un welfare generoso come quello olandese richiederebbe per funzionare un sistema chiuso che è l’esatto opposto della società aperta segnata dall’immigrazione”.
Le cifre, però, non sono tutto: recenti leggi, quella sull”inburgering’ che prevede esami di olandese e corsi di cittadinanza e quella che esige un reddito piuttosto alto per ottenere i ricongiungimenti familiari, hanno anzi parzialmente contenuto i nuovi flussi migratori. Altro è il punto chiave, e per capirlo basta andare a Slotervaart, quartiere all’80 per cento marocchino, periferia ovest non infame ma quasi senza negozi, telecamere ovunque contro le gang di giovani criminali che vi allignano, la moschea attaccata al commissariato di polizia preso a sassate nella settimana di disordini del novembre scorso quando bruciarono una dozzina di auto. Qui abitava anche Mohamed Bouyeri, l’integralista islamico che nel 2004 assassinò il regista Theo Van Gogh autore di ‘Submission’, cui seguì la brutta storia della sceneggiatrice Ayaan Hirsi Ali costretta con un pretesto ad andarsene dal paese da Rita Verdonk, lady di ferro del partito conservatore Ton, Fiero dell’Olanda. Se chiedi ai ragazzi di seconda generazione di Slotervaart non ti rispondono più, come i padri, marocchino e olandese, ma ‘islamico’: è quella, e nessun’altra, la loro identità, ancorché immaginaria, da sradicati, costruita sui testi. Spesso in contrasto con i genitori, per scelta individuale aderiscono a un fondamentalismo che non riconosce l’individuo. Abituati a Internet (‘Google muslims’, chiamano questa generazione) lo usano per cercarvi le fatwa dell’Università egiziana Al Azhar e trovare conferme al proprio radicalismo integralista.
Come rispondono la società e la politica olandese? Con un misto di pavidità, sottovalutazione, opportunismo. C’è chi palesemente ci specula, come il deputato populista Geert Wilders, che ha annunciato ‘Fitna’, cortometraggio anti-Corano ma, incassato il giusto riconoscimento del suo diritto di diffonderlo in nome della libertà di espressione, rifiuta di mostrarlo in anteprima alle tv dove potrebbe metterlo in onda: per la cronaca, Wilders chiede sia vietata in Olanda la diffusione del Corano in quanto testo razzista. Più subdola l’operazione dei cristiano-democratici, al governo col premier Jan Peter Balkenende, detto Harry Potter, insieme ai laburisti e all’Unione cristiana, piccolo partito protestante, conservatore sulle questioni etiche, meno su quelle sociali: “Alcuni di loro mirano a riconquistare il terreno perduto in trent’anni utilizzando la difesa dell’Islam a proprio uso e consumo”, bolla Scheffer: cioè come sponda per riaffermare la loro concezione di un paese sì irrimediabilmente secolarizzato, ma in cui la religione resta (e più ancora sperano torni a essere) collante identitario. Si spiega così come mai, all’indomani dell’assassinio di Theo Van Gogh, Piet Hein Donner, allora ministro della Giustizia, propose di inasprire non le norme contro la propaganda fondamentalista ma quelle contro il reato di blasfemìa. Non se ne fece niente, e in questi giorni il parlamento ha discusso la proposta contraria, cancellare il reato di blasfemìa: anche stavolta senza concludere nulla.
Un colpo alla botte e uno al cerchio. Non ci si stupisca troppo, la società olandese si è sempre regolata così, prima col sistema dei ‘pilastri’, poi smussando gli angoli, ondivaga, un taglio qui, un contentino là. A giugno entrerà in vigore il divieto di fumare nei locali pubblici; ma il fondo di pensione integrativa Paeren Level ha appena lanciato un piano che garantisce pensioni più elevate ai fumatori perché destinati a vivere di meno, purché dimostrino di aver consumato almeno dieci sigarette al giorno negli ultimi cinque anni e di non essere mai riusciti a smettere. Ai gay, che già possono sposarsi dai tempi dell’ultimo governo lib-lab con i dc all’opposizione, un protocollo siglato a inizio marzo da governo e grandi municipalità garantisce ulteriori protezioni e sostegno contro le discriminazioni, madrina la principessa Maxima moglie dell’erede al trono; ma di concedere asilo all’iraniano Mahdi Kazemi che in patria rischia la morte perché gay, questo proprio no, non se ne parla, troppe rogne, troppi rischi per il business. Lo stato-mamma è comprensivo ma prudentissimo. E occhiuto: più di un ministero buttava l’occhio nei computer dei giornalisti, scandalo scoppiato a fine febbraio.
Anche verso l’Islam vige questa doppia o tripla morale. Via le generalità sulle domande di lavoro, potresti essere discriminato per il tuo nome arabo. Ma a chi importa dei centomila aleviti residenti in Olanda, musulmani liberal banditi da quasi tutte le organizzazioni e moschee? O di tutelare chi pubblicamente abiura l’Islam, come lo studente di origine iraniana Ehsan Jami, costretto a vivere sotto la minaccia dei fanatici nell’Olanda mito della libertà, religiosa e no?