Svezia e Norvegia sono notoriamente rimaste arroccate sul proibizionismo duro e puro, con la penalizzazione del possesso di droghe per uso personale e del loro consumo e con più di un intralcio alle misure di riduzione del danno (RDD). Nel suo intervento al recente UNGASS 2016, il ministro della sanità norvegese Bent Hoie ha ribadito l’appoggio al mantenimento dello status quo, alla intangibilità delle convenzioni internazionali, alla tolleranza zero. In Svezia, la RDD è considerata da buona parte dei politici nazionali e locali come un incentivo a drogarsi, in barba alle evidenze scientifiche che ne dimostrano l’efficacia. Vi sono qua e là, è vero, programmi di scambio di siringhe, ma solo laddove l’orientamento delle autorità locali si è dissociato da quello prevalente. Il naloxone spray è ancora in fase sperimentale in una sola regione, la Scania, mentre di stanze del consumo neanche se ne parla. Risultato: l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (EMCDDA) nel suo rapporto 2016 colloca la Svezia al secondo posto dopo l’Estonia per mortalità attribuibile a uso di droga (secondo le autorità svedesi la metà dei casi sarebbe dovuta a overdose, almeno in parte a causa degli intralci all’uso del naloxone). Inoltre le politiche svedesi sono state anche bersagliate dalle critiche del Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite.
Di recente, tuttavia, si sono avuti in entrambi i Paesi alcuni segnali di disponibilità a un cambio delle politiche in vigore. Il caso più clamoroso è stato il voltafaccia del succitato ministro della sanità norvegese. Smentendo la sua recente presa di posizione all’UNGASS, egli ha dichiarato che è intenzionato a proporre al suo partito e al governo di porre fine alla War on Drugs, di smetterla di perseguitare, arrestare e carcerare i consumatori di droghe. Meno clamoroso, ma non meno significativo, è stato un recente annuncio del ministro della sanità svedese Gabriel Wikström. I programmi di scambio di siringhe, ha dichiarato, a fini di omogeneità su tutto il territorio nazionale, dovranno essere gestiti dalle regioni anziché dalle autorità locali, onde superare le attuali assurde disparità. Stoccolma, per esempio, ha un programma di scambio siringhe, mentre nella seconda città del Paese, Göteborg (circa 500.000 abitanti), a causa della ferma opposizione del suo Consiglio, un tale programma resta di là da venire.
Sia in Svezia che in Norvegia diversi movimenti si battono per un cambio delle politiche per le droghe: sinora, tuttavia, con ben scarsi risultati, anche se i confronti con quanto avviene in altri Paesi, europei e non, incominciano a influire sull’opinione pubblica. Ciò vale per esempio per l’apertura a Copenhagen lo scorso agosto di una stanza del consumo di dimensioni senza precedenti: circa 1.000 mq, tra 200 e 300 visitatori al giorno.
Tutto questo tira-e-molla sia nei singoli Paesi che ai livelli sovranazionali rappresenta indubbiamente un significativo passo in avanti rispetto allo stallo durato mezzo secolo. Tuttavia i tempi per raggiungere soluzioni appropriate, non limitate a singole situazioni locali, paiono ancora lunghissimi: e ogni giorno che passa porta a molti soggetti ulteriore sofferenza e morte, favorisce l’ampliamento degli spazi e dei poteri delle organizzazioni criminali che gestiscono i mercati delle droghe e dei loro complici.