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Articolo di Leonardo Fiorentini, segretario di Forum Droghe, per l’Unità del 23 ottobre 2024.

Non c’è solo il Consiglio d’Europa, con il rapporto della sua commissione contro il razzismo e l’intolleranza (Ecri) reso pubblico ieri, a preoccuparsi per il deterioramento del discorso pubblico “sempre più xenofobo” e per le attività di profilazione etnica delle forze dell’ordine italiane.

Anche le Nazioni Unite, con il rapporto sull’Italia dell’International Independent Expert Mechanism to Advance Racial Justice and Equality in the context of Law Enforcement, depositato a fine settembre e rimasto sottotraccia, hanno infatto ancora una volta sottolineato il problema della profilazione e dell’eccessiva criminalizzazione dei migranti, in particolare di origine africana.

Il meccanismo è stato costituito dal Consiglio dei Diritti umani delle Nazioni Unite, con la risoluzione 47/21, dopo la tragica morte di George Floyd, ucciso a Minneapolis il 25 maggio 2020 durante un fermo di polizia, e la ripresa di vigore del movimento Black Lives Matter. Ha il compito di assicurare che gli stati membri affrontino e risolvano i problemi di razzismo, discriminazione e intolleranza, in particolare nel contesto delle operazioni di polizia. L’obiettivo è prevenire e rispondere agli abusi, migliorare l’accesso alla giustizia per le vittime e garantire che i responsabili siano perseguiti.

Lo scorso maggio ha fatto tappa in Italia per conoscere meglio la situazione nel nostro paese, incontrando Istituzioni e Società Civile. Forum Droghe, Harm Reduction International e Società della Ragione hanno inviato una nota riguardante il legame fra la normativa sulle droghe, la profilazione e la discriminazione etnica (che trovate, insieme al report su Fuoriluogo.it).

L’intreccio fra leggi sulle droghe, criminalizzazione e controllo delle minoranze è stato sempre più indagato dagli organismi per i diritti umani dell’ONU. Già nel 2019 il gruppo di esperti delle Nazioni Unite contro la discriminazione delle persone di origine africana aveva osservato che “la guerra alla droga ha funzionato più efficacemente come sistema di controllo razziale che come meccanismo di lotta all’uso e al traffico di stupefacenti”.

Un rapporto che è stato approfondito nel mondo angolosassone: negli USA, secondo l’ACLU, nonostante la prevalenza d’uso sia uguale fra comunità nere e bianche, un nero ha 3,6 volte più possibilità di un bianco di essere arrestato per possesso di cannabis. Nella contea di Hennepin, dove è morto George Floyd, il rapporto arriva a 7 volte.

In Italia purtroppo non esistono studi. La sovra rappresentazione delle comunità migranti in carcere per droghe, e il combinato disposto degli effetti criminogeni del testo unico sugli stupefacenti e della normativa sull’immigrazione, avevano però già attirato l’attenzione del gruppo di lavoro sulle detenzioni arbitrarie, insediato sempre presso il Consiglio dei Diritti Umani, e del Comitato per i Diritti Economici e Sociali dell’ONU.

Il report sull’Italia del meccanismo mette nero su bianco i casi di profilazione etnica da parte delle forze dell’ordine, sollevando preoccupazioni su prigioni sovraffollate, disparità nella detenzione e casi di tortura. “Il Meccanismo è particolarmente preoccupato per la sproporzione di persone di origine straniera, soprattutto africani e persone di origine africana, all’interno del sistema penale italiano” si legge. Per gli esperti poi il decreto Caivano ha avuto effetti sulla detenzione di minori migranti, che oggi rappresentano addirittura il 60,8% di tutti i detenuti dai 14 ai 17 anni.

Sulle droghe sono molto chiari: “il possesso di droga è sostanzialmente criminalizzato” visto che “la distinzione tra il possesso per uso personale e per spaccio è spesso poco chiara”. Quindi “l’approccio punitivo dell’Italia all’applicazione della legge sulle droghe solleva notevoli problemi di diritti umani e colpisce in modo sproporzionato gli africani e le persone di origine africana.”

Le raccomandazioni sono altrettanto chiare. È necessario “adottare un approccio alle politiche sulle droghe basato sui diritti umani. Porre fine all’attenzione per i piccoli criminali nella war on drugs e depenalizzare il possesso per uso personale e il commercio al dettaglio di droghe.” Per quel che riguarda poi la popolazione detenuta si chiede all’Italia di garantire i servizi per le dipendenze “universalmente accessibili per i detenuti e garantire la continuità delle cure sia all’interno che tra le strutture di detenzione e il mondo esterno”.

Le raccomandazioni ovviamente vanno ben oltre la questione droghe. Il rapporto sottolinea non solo che il razzismo sistemico è un fattore chiave nella violenza e discriminazione della polizia ma anche come gli stereotipi profondamente radicati e le ingiustizie storiche, come la schiavitù e il colonialismo, vadano decostruiti e rielaborati a partire dal sistema scolastico. Anche nel nostro paese, che mai ha affrontato realmente il proprio passato coloniale.

Nei giorni in cui il Governo Meloni cerca di piegare il diritto nazionale ed internazionale alla propria propaganda sui migranti, inventandosi costosissime e crudeli deportazioni per decreto legge, è importante invece riaffermare una verità. Ovvero che ciò che le convenzioni sui diritti umani proclamano non sono astratti principi, ma devono essere tradotti in leggi e politiche conformi. Per questo è fondamentale costruire una prospettiva sociale e politica che impegni il prossimo Parlamento a intervenire, non solo cancellando le leggi del panpenalismo meloniano, ma anche smontando quegli obbrobri giuridici, politici e umani che sono le leggi Jervolino-Vassalli e Bossi-Fini.

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