A poco, in questo senso, sono serviti anche gli «endorsement» del procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia («un dibattito interessante, non sono contrario. Anzi sono per il sì»), del procuratore generale di Firenze Beniamino Deidda («serve una cauta depenalizzazione e una cauta liberalizzazione»), del governatore della Toscana Enrico Rossi («sono favorevole ad una distinzione fra droghe leggere e pesanti e a forme di legalizzazione di quelle leggere») o di Roberto Saviano. L’argomento, purtroppo, resta un tabù perché, per dirla col procuratore Deidda, «c’è un po’ di fariseismo e l’ideologia prevale su una serena valutazione dei fatti».
IL DIBATTITO ALL’ESTERO
Il tema però, almeno all’estero, è di grandissima attualità e ampiamente dibattuto. Gran parte del merito di aver infranto un muro di silenzio e ideologia va sicuramente tributato «Global Commission on Drug Policy», il panel di esperti guidato dall’ex presidente dell’Onu e premio Nobel Kofi Annan di cui facevano parte, tra gli altri, l’ex presidente brasiliano Ferdinando Cardoso, l’ex segretario di Stato Usa George Shultz e l’ex premier greco George Papandreu.
Nelle loro conclusioni, un anno fa, gli esperti decretavano infatti che «la guerra mondiale alla droga ha fallito con devastanti conseguenze» e che «le politiche di criminalizzazione e le misure repressive – rivolte ai produttori, ai trafficanti e ai consumatori – hanno chiaramente fallito nello sradicarla». La prova, secondo il panel, stava esattamente nei dati: nel 1998 il consumo di oppiacei riguardava 12.9 milioni di persone mentre nel 2008 17.35 milioni (+34.5%). Nel 1998 il consumo di cocaina riguardava 13.4 milioni per passare, dieci anni dopo, alla cifra di 17 milioni (+27%) Stesso trend anche per i consumatori cannabis: nel 1998 erano 147.4 milioni, per passare 160 milioni nel 2008 (+8.5%).
Riflessioni e numeri che, in giro per il mondo, hanno spinto diversi governi a interrogarsi sul tema. Compresi molti esecutivi del Sudamerica, dove la piaga del narcotraffico e delle violenze ad esso legate rappresentano ogni anno un costo sociale insopportabile. E così, da qualche mese, di legalizzazione si parla in Guatemala come in Colombia, in Uruguay come in Brasile. Discussioni la cui eco è arrivata fino in Europa. In Francia, ad esempio, la nuova ministra verde Cécile Duflot si è spinta a dichiarare che «bisogna considerare la cannabis come il tabacco o l’alcool».
Una posizione condivisa anche dall’ex ministro dell’Interno socialista Daniel Vaillant. Del resto, come scrisse l’ Economist nel 2009, «il proibizionismo ha stimolato la criminalità su scala globale a un livello mai visto prima». il ritardo italiano E da noi? Poco, o quasi nulla si sta muovendo nonostante il rapporto Onu World Drug Report 2012 assegni all’Italia la palma di paese leader in Europa per consumo di cannabis (il 14,6% dei cittadini fra i 15 e i 65 anni) e nonostante, secondo le stime, i proventi per le mafie del traffico di droga oscillino attorno ai 60 miliardi di euro all’anno.
L’Italia, infatti, è ferma alla legge Fini-Giovanardi del 2006 che non riconosce alcuna distinzione fra droghe pesanti e leggere e azzera di fatto la distizione fra possesso e spaccio. Un irrigidimento legislativo che, come ampiamente prevedibile, ha prodotto sfacelli. Un’occhiata ai numeri: «in soli 5 anni – hanno infatti scritto i curatori del III Libro bianco sullaFini-Giovanardi – i detenuti per violazione della legge sulla droga sono quasi raddoppiati: dai 15 mila nel 2006 ai 28 mila del 2011. È l’impatto carcerario della legge antidroga la principale causa del sovraffollamento». Numeri che sono ancora più drammatici se solo si tiene conto che, nel periodo fra il 2006 e il 2007, migliaia di persone hanno lasciato gli istituti di pena dopo l’approvazione dell’indulto.
I dati del rapporto, curato da Antigone, Cnca, Forum Droghe e Società della Ragione, con l’adesione di Magistratura Democratica e Unione Camere Penali, fanno paura: aumentano gli ingressi in carcere per droga in rapporto al totale degli ingressi, dal 28% del 2006 al 33,15% del 2011 (25.390 su 90.714 e 22.677 su 68.411); aumentano le denunce, specie per l’art. 73 della legge (detenzione illecita a fini di spaccio), da 29.724 nel 2006 a 33.686 nel 2011 (14.680 per cannabis, pari al 41%, 8.535 per hashish, 5.211 per marijuana, 1.416 per coltivazione di piante).
E se, come fotografa il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, si considera che al momento i detenuti presenti in carcere per reati legati alla droga sono 26.559 (il 34% circa del totale) ben si capiscono le dimensioni del problema, specie se si tiene conto del fatto che, come riporta il Libro Bianco, «sui 37.750 detenuti con condanna passata in giudicato, presenti al 27 novembre 2011, ben 14.590 (38,90%) lo sono per violazione della legge sugli stupefacenti».
Eclatante il dato della Toscana dove, secondo una ricerca, «il 40% dei detenuti sono in carcere per reati di droga minori: si tratta spesso di consumatori che semplicemente detenevano quantità superiori al limite tabellare e sono stati trattati alla stregua di spacciatori». Nel frattempo aumentano i sequestri di marijuana (+54,19% nel 2011) e hashish (+29,43%) mentre crollano quelli di eroina (-45,97%). Ma il tema della legalizzazione delle droghe leggere, oltre che da un punto di vista repressivo-carcerario, può rappresentare una svolta anche dal punto di vista economico.
Lo sanno bene i senatori del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante che nel novembre scorso hanno presentato un disegno di legge contenente «norme per la legalizzazione dei derivati della cannabis indica». «Uno studio del professor Marco Rossi dell’Università La sapienza di Roma – hanno scritto nella loro relazione – stima le imposte ricavate sulla vendita della cannabis in 5,5 miliardi di euro l’anno». Con la depenalizzazione, poi, si stima che si potrebbe risparmiare un altro miliardo per le sole spese carcerarie. In tempi di crisi, forse vale la pena rifletterci.