L’International Drug Policy Consortium (IDPC), previa un’ ampia consultazione con i suoi numerosi affiliati – tra i quali Forum Droghe – nei cinque continenti, ha di recente varato la sua risposta al Rapporto Mondiale sulla Droga 2013 dell’Agenzia ad hoc delle Nazioni Unite (UNODC) (v. IDPC-response-to-2013-World-Drug-Report_ENGLISH.pdf e la nostra traduzione italiana del Sommario). Il documento riconosce il lodevole sforzo compiuto per fornire nel rapporto una mole notevole di dati, compresa una analisi particolareggiata della proliferazione delle Nuove Sostanze Psicoattive (NSP). Tuttavia, pur con molto garbo, evitando accuratamente i toni “sopra il rigo”, fa notare una serie di aspetti negativi o che almeno suscitano perplessità: a cominciare dall’affermazione contenuta nel Rapporto che produzioni, traffici e consumi delle droghe illecite, notoriamente in continua tumultuosa trasformazione con incessanti variazioni dei flussi, si sono “stabilizzati” (e laddove si ammette che vi sono aumenti, si tenta di spiegarli con la crescita della popolazione mondiale). Un’altra affermazione contestata è quella che i sistemi di controllo nazionali e internazionali funzionano a dovere – tradotto in volgare, “un pò di pazienza, siamo sulla buona strada per vincere la guerra alla droga”, quella guerra cioè che tutti coloro che hanno cognizione di causa sanno esser da tempo irrimediabilmente perduta.
Scrutando un pò più a fondo nel documento IDPC si comprendono meglio i meccanismi coi quali sono state costruite queste conclusioni con metodi poco scientifici. In primo luogo, il rapporto UNODC si basa su questionari inviati alle singole autorità nazionali, questionari le cui percentuali di ritorno variano enormemente (dal 10 al 90 %!) tra le varie aree geografiche; e per buona giunta, senza alcuna verifica diretta sulla affidabilità delle informazioni restituite nei questionari stessi. Infatti i dati forniti sono caratterizzati da un possibile divario tra minimo e massimo pari a un raddoppio e oltre: tra 169 e 315 milioni il totale planetario dei consumatori di droghe illecite; tra 16 e 39 milioni i consumatori “problematici”; tra 13 e 20 milioni i consumatori di oppio ed eroina; tra 11e 20 milioni gli iniettori; tra 1,2 e 3,9 milioni gli iniettori con HIV (particolarmente criticati dall’IDPC i metodi usati per queste ultime due stime, p. 4-5).
Assai criticati sono anche alcuni dei suggerimenti forniti dall’UNODC per un “ulteriore perfezionamento” delle strategie di controllo del narcotraffico, in particolare la proposta di intensificare i controlli sul traffico marittimo. Ma hanno contato quante navi e quanti container sono quotidianamente in movimento o impegnati nei porti di tutto il mondo in operazioni di carico e scarico? E quanta parte di questa gigantesca movimentazione potrebbe esser controllata da capo a fondo senza congelare il commercio mondiale? (Il lettore italiano conosce tale problema grazie allo zoom sul porto di Napoli in “Gomorra” di Saviano, che documenta come la massima parte del movimento sia in pratica esente da qualsiasi controllo: al punto che non si identificano neanche i container clandestini con codici inventati o clonati rispetto a quelli in regola – come le banconote false emesse in serie doppia al centro dello scandalo della Banca Romana di fine ‘800).
Viene anche criticata per l’impostazione”fuori bersaglio” dell’analisi del traffico illecito, sempre assai consistente, di analgesici e psicofarmaci. Più appropriato sarebbe stato un approccio mirato a individuare quanta parte di questo commercio sia legato alla mancata risposta per vie lecite ai bisogni terapeutici. L’Italia sotto questo profilo è in una posizione particolarmente delicata: infatti, malgrado i provvedimenti degli scorsi anni che hanno consentito un incremento dei consumi di oppiacei narcotico-analgesici per la terapia del dolore, tali consumi restano molto al di sotto dei fabbisogni reali, come mostrano i confronti con i vari paesi del mondo occidentale.
Infine, proprio un aspetto del rapporto UNODC 2013 che in prima battuta pareva costituire un progresso rispetto ai rapporti precedenti – la maggiore attenzione per le NSP – è bersaglio di dure critiche metodologiche, che evidenziano la scarsa utilità dei dati forniti. Infatti il rapporto non si basa su di una analisi che tenga conto delle tipologie assai diversificate delle NSP – sotto controllo internazionale o meno – dalle quali dipendono i rischi della loro assunzione, ma di fatto fa di ogni erba un fascio.
Come è esplicitato già dal sommario del rapporto, in molti paesi si sono avviate sperimentazioni, delle quali spesso qui si è detto, che vanno oltre i limiti di flessibilità previsti dalle convenzioni internazionali – .ultima la legalizzazione controllata della cannabis decisa in Uruguay. E allora, visto che la Guerra alla Droga è bella che persa, che l’ammontare dei danni che essa ha provocato e continua a provocare è ormai incalcolabile, il documento dell’IDPC chiede che la notevole expertise a disposizione dell’UNODC sia indirizzata ad aiutare gli stati membri a “facilitare l’adozione di una gamma variata di risposte flessibili, che tengano conto sia delle specificità di questo amplissimo panorama di sostanze, sia delle diverse specificità locali sociali ed economiche in funzione delle quali il loro uso deve essere gestito”
E qui chiudiamo con una considerazione che il documento IDPC diplomaticamente omette. Il narcotraffico della cannabis e dei suoi derivati vale circa la metà del totale dei profitti criminali fatti sulle droghe: per lo più riciclati al punto di inquinare una buona parte dell’economia legale, e inoltre attirando nella Geenna dell’illegalità innumerevoli soggetti che altrimenti avrebbero potuto essere normali donne e uomini della strada. Una legalizzazione controllata della cannabis su scala mondiale equivarrebbe quindi per i narcotrafficanti a un dimezzamento del loro spazio di mercato. Il fatto che di tale “dettaglio” nelle convenzioni internazionali si seguiti a non tener conto dà la misura della forza incontrollabile degli interessi economici, politici e corporativi che impediscono i necessari cambiamenti delle politiche internazionali e nazionali sulle droghe.