Di recente, l’Onu, nel Rapporto Mondiale sulla Droga 2013, a cura dell’agenzia specializzata Unodc, ha sostanzialmente ribadito la validità del controllo penale internazionale per limitare la circolazione delle sostanze illegali (cfr. Bignami G., Manifesto, 6 novembre). Quasi in contemporanea, è uscito sul British Medical Journal uno studio ad opera di ricercatori canadesi e statunitensi (Dan Werb , Thomas, Bohdan Nosyk, e altri), che smentisce l’ottimismo di Unodc. Gli autori, dopo aver identificato alcuni indicatori utili a valutare l’impatto dell’azione repressiva sulla riduzione della droga in circolazione, li hanno seguiti lungo un ragguardevole lasso di tempo, dal 1990 in poi. Sulla base dell’andamento dei dati riguardanti il prezzo della droga, la percentuale di purezza e l’andamento dei sequestri, è stata rilevata una generale diminuzione dei prezzi a fronte di un aumento della purezza. La conclusione è lampante: nonostante gli sforzi repressivi e l’ingente mole di risorse pubbliche destinate a questo, la disponibilità delle maggiori droghe (cannabis, eroina, cocaina) è aumentata, anziché diminuire.
Venendo alla metodologia: i dati provengono da fonte ufficiale, forniti da agenzie nazionali (vedi ad esempio lo statunitense Marijuana Potency Monitoring Project), o internazionali (come i rapporti annuali Unodc e la rete di monitoraggio Reitox dell’Osservatorio Europeo di Lisbona, Emcdda). Sono stati scelte rilevazioni longitudinali in grado di fornire sequenze di dati per almeno 10 anni. Alcuni risultati nel dettaglio: nel periodo 1990 -2007, negli Stati Uniti, la purezza dell’eroina è aumentata del 60%, quella della cocaina del 11%, della marijuana del 161%. Nello stesso periodo, l’andamento dei prezzi al dettaglio (aggiustati all’inflazione a alla purezza) ha seguito il trend opposto: l’eroina su strada è scesa dell’81%, la cocaina dell’80%, la cannabis dell’86%. Lo stesso per i dati raccolti dall’Unodc in 18 paesi europei, fra cui l’Italia: fra il 1990 e il 2009, il prezzo su strada della cocaina è diminuito del 51%, degli oppiacei del 74%.
Quanto all’azione repressiva, sono impressionanti le cifre dei sequestri di cannabis negli Stati Uniti, con un aumento del 465% fra il 1990 e il 2010. Per l’Europa, i dati sono più fluttuanti. Tuttavia i sequestri di erba di cannabis sono passati da 57.000 kg nel 1995 a circa il doppio nel 2006 e negli anni successivi, passando per un picco di 138.000 nel 1996. Per l’eroina, i sequestri sono sempre stati in ascesa.
Esaminando le zone chiave di produzione, si può toccare con mano l’impatto della “guerra alla droga”: in Afghanistan (da dove si stima provenga più del 90% dell’oppio) i sequestri di oppio (grezzo e lavorato) sono aumentati del 12.000% (sic!), passando dai 453 kg del 1990 ai 57.000 kg del 2010; mentre i sequestri di eroina sono aumentati di più del 600% (dai 1256 kg del 1990 ai 9036 del 2010). Nelle regioni andine, dove si produce la foglia di coca, la diminuzione dei sequestri di cocaina (meno 81% dal 1990 al 2007) è stata più che controbilanciata dall’aumento dei sequestri di foglia di coca (più 188%, dai 601.000 kg del 1990 a 1.73 milioni nel 2007).
Sta alla politica tener conto di questi risultati, che rafforzano le spinte alla riforma che stanno emergendo in varie parti del mondo: negli Usa, il movimento dei referendum ha influito sull’opinione pubblica, tanto che oggi il 58% degli americani è convinto che la marijuana debba essere legalizzata; in Uruguay, il governo ha già fatto questa scelta, mentre la maggioranza degli stati dell’America Latina cercano strategie alternative alla guerra alla droga. Insistere sulla repressione va contro l’evidenza, questo il messaggio chiaro e forte.
Link allo studio del British Medical Journal: http://bmjopen.bmj.com/content/3/9/e003077.full?g=widget_default