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Vienna – Il consenso è finito. Questo in sintesi il succo del meeting di Vienna dedicato alle droghe. Non è cosa da poco, perché l’accordo è il pilastro su cui si regge la credibilità del mastodontico ma traballante edificio delle Nazioni Unite.
Lo “spirito di coesione” ha vacillato quando nella paludata sessione di apertura si è alzato il presidente della Bolivia, Evo Morales, chiedendo di cambiare due articoli delle Convenzioni sulle droghe narcotiche; e quando il rappresentante ceco, a nome dell’Unione Europea, ha rivendicato la riduzione del danno come parte integrante delle politiche europee: portando allo scoperto lo scontro che ha bloccato per mesi i negoziati sulla Dichiarazione Politica finale. L’esito imprevisto è stata la “riserva”sulla Dichiarazione Politica, sottoscritta da un nutrito gruppo di paesi in maggioranza europei: in cui mantengono il punto sulla interpretazione e sulla stessa definizione di riduzione del danno. Per la prima volta nella storia della diplomazia delle droghe, alcuni stati membri esplicitano un dissenso.
Evo Morales per primo ha rotto il rituale: un discorso pacato e argomentato, ma al tempo stesso vibrante e diretto, senza nessuna concessione alle circonlocuzioni della diplomazia. Un errore storico: così ha definito l’inserimento della foglia di coca fra le droghe narcotiche nella convenzione Onu del 1961. Allora la comunità internazionale ha guardato alla coca con occhi occidentali, ignorando la masticazione della foglia come parte della cultura dei popoli andini. L’approccio di Morales va ben oltre la rivendicazione terzomondista. Il presidente ha contestato l’insipienza di chi affida il governo di fenomeni socioculturali complessi alle legislazioni proibizioniste (come potevate pensare- ha chiesto all’assemblea- che una tradizione millenaria sarebbe finita solo perché le leggi internazionali la mettevano al bando?). Altrettanto raffinata la sua bussola politica. Nell’incontro organizzato dalle Ong, qualcuno, con un po’ di scetticismo, gli ha chiesto se davvero sperava nell’accoglimento della sua proposta. “Anni fa venni qui come sindacalista dei coltivatori di coca. Allora fui espulso dall’assemblea. Oggi ho parlato qui come capo di uno stato”, è stata la risposta. Come dire: in politica le cose cambiano e soprattutto la politica può cambiare le cose. Se è vero -come Morales crede fermamente- che “ quella della foglia di coca è questione politica, non medica o legale”.
Anche il conflitto sulla riduzione del danno è squisitamente politico. Quelle politiche sono diffuse in tutto il mondo (dall’Europa, all’Australia all’Iran) e diverse agenzie Onu, Unaids in testa, da tempo le citano e le promuovono nelle loro raccomandazioni. Ma la Commissione sulle Droghe Narcotiche (Cnd) non ha mai voluto menzionare questa strategia. Paradossalmente, si potrebbe dire, ma non tanto. Le politiche Onu, basate sulle Convenzioni, sono da sempre centrate sulla repressione. La riduzione del danno altro non è che l’approccio di sanità pubblica applicato alle droghe: citarla nella Dichiarazione Politica significava mettere finalmente la salute al primo posto, relegando in secondo piano il braccio armato dell’antidroga. Significava iniziare a correggere un errore storico, per dirla con Morales. I “guerrieri” hanno voluto imporre il loro veto e la Dichiarazione Politica è solo un elenco di cattivi propositi con la grottesca riedizione della litania sul mondo libero dalla droga entro il 2019.
L’Italia ha giocato contro la determinazione europea a sostegno della riduzione del danno. E’ stato il paese più oltranzista fra i ventisette dell’Unione: cercando di annacquare, virgola dopo virgola, il discorso ufficiale a nome della Ue. Forse Giovanardi credeva che l’Europa avrebbe ingoiato la sconfitta e che tutto sarebbe rimasto nelle stanze segrete della burocrazia. Non è stato così. Quando il rappresentante ceco ha scandito la fatidica espressione – riduzione del danno- ( che l’Europa considera della massima importanza – ha aggiunto), si è capito che la partita non era finita. La nota firmata dai principali paesi europei (fra cui Germania, Regno Unito, Spagna, Portogallo) ha fatto suonare la campana per i “duri” e la loro vittoria di Pirro. L’Italia di Giovanardi è fuori dall’Europa. E la Dichiarazione Politica inficiata dal dissenso esplicito dei principali paesi europei vale poco più di un ordine del giorno approvato da un’assemblea di condominio. Per l’Onu e per l’agenzia antidroga, sconsideratamente diretta da Antonio Costa, inizia l’era del “rimpatrio” delle politiche. O della secessione nazionale, che dir si voglia.