Un secolo di repressione non è bastato: a cent’anni dalle prime misure contro l’uso di stupefacenti è arrivato il momento di ragionare sulle possibili alternative. Lo chiede in modo aperto l’Ufficio dell’Onu su droga e crimine, ponendo l’accento, per la prima volta da quando è stato fondato, sulla necessità di modificare l’approccio al problema. Serve “meno impegno della polizia con gli utenti, più sforzo con i trafficanti”, si legge nella prefazione firmata dal direttore Antonio Maria Costa.
Con le inevitabili prudenze del suo ruolo, l’agenzia “apre” all’ipotesi di politiche diverse dal carcere per i tossicodipendenti. “La droga continua a essere una minaccia per la salute”, si legge nelle prime righe del rapporto 2009 Unodc, e viene ribadito che “legalizzare le droghe sarebbe un errore storico”. Ma è come se lo studio mettesse le mani avanti, per poi avanzare riflessioni più “rivoluzionarie”, tanto che l’Huffington Post arriva a titolare con entusiasmo: “L’Onu sostiene la depenalizzazione”. L’agenzia ammette persino che per la pubblica opinione “il controllo delle droghe non sta funzionando”. Esaminando con un’inedita apertura le ragioni portate dagli antiproibizionisti, l’Unodc rivendica a sé l’allarme per i grandi incassi che i divieti portano alla criminalità organizzata e sottolinea: “Questi sono argomenti validi”.
Secondo Costa, la soluzione è elementare: “Più controllo sul crimine, ma senza diminuire i controlli sulla droga”. Poche righe più avanti si ribadisce l’esigenza della “tutela della salute dei tossicodipendenti”, insistendo sulla necessità di combattere il traffico, invece che reprimere il consumo.
Antonio Maria Costa ribadisce che il compito della sua agenzia è quello di tutelare allo stesso tempo salute e sicurezza. L’Unodc pone un “doppio NO”: no alle droghe, no al crimine. “Il crimine organizzato”, scrive il direttore, “non scomparirà con la legalizzazione della droga”: per tenere in vita le mafie bastano altri traffici.
L’ipotesi di una “raccomandazione” delle Nazioni unite ai paesi membri, simile alla campagna contro la pena di morte, non sembra praticabile: “È una decisione che spetta alle singole nazioni”, dice Costa al telefono, ribadendo poi che “per l’Onu i reati legati agli stupefacenti non vanno considerati delitti capitali”. In sostanza, sono tre le osservazioni da fare: la prima, riguarda le campagne d’ordine che chiedono di punire con il carcere chi viene sorpreso con uno spinello. “È come mandare un giovane all’università del crimine”, dice il direttore dell’Unodc, “con il rischio di rendere irreversibile una tendenza che ancora può cambiare”.
Costa critica anche “le legislazioni che impongono pene troppo severe, poi non applicate”. E l’abitudine a cambiare prospettiva – e leggi – su base politica. “La dipendenza è una malattia. E non esistono terapie di destra o di sinistra per cancro e diabete”. L’allusione è a molti governi occidentali: da quello Usa a quello italiano, che nel 2006 ha cancellato la distinzione fra sostanze “leggere” e “pesanti”. Ma soprattutto a quello di Gordon Brown, che sulla base di valutazioni elettorali voleva spostare la cannabis nell’elenco delle sostanze più pericolose, ignorando platealmente le raccomandazioni degli scienziati, dallo stesso premier mobilitati sull’argomento.