“L’Italia ritiene che le legislazioni sulle droghe non debbano andare alla deriva della legalizzazione perché siamo convinti che la libertà consista nel porsi nella condizione di rispettare sempre se stessi e la propria dignità, dando sempre un senso alla propria vita. Questo è il terreno di discussione.” Questa è la via del sottosegretario Alfredo Mantovano, intervenuto lo scorso marzo a Vienna in apertura della plenaria della Commission on Narcotic drugs delle Nazioni Unite.
Il delegato alle politiche “antidroga” del Governo Meloni non solo ha confermato che non esistono droghe leggere, ma soprattutto che la libertà, il rispetto di sé stessi e della propria dignità devono essere definite da un ente morale esterno. Nel caso specifico il Governo dello Stato, nella sua classica conformazione assolutistica, etica e morale. È proprio fra morale e ideologia che si incardina l’evento che si svolgerà domani alla Camera. Mentre alla mattina la società civile presenterà la nuova edizione del Libro bianco sulle droghe, il Governo nel pomeriggio celebrerà il 26 giugno, Giornata mondiale contro l’abuso di droghe e il narcotraffico, con un evento dal titolo “Giornata mondiale contro le droghe”.
Condotto da Gianni Ippoliti, saranno premiati per il loro impegno contro le droghe addirittura Roberto Mancini, Sofia Goggia, Max Giusti e Don Mario Marafioti. Ma i veri ospiti d’onore saranno Kevin Sabet e Luke Niforatos, incaricati di illustrare gli effetti della legalizzazione della cannabis negli Stati Uniti. Sabet e Niforatos sono rispettivamente Presidente e Vicepresidente di Smart Approaches to Marijuana (SAM), una organizzazione che ha fatto parlare di sé in questi anni negli USA. Fiera oppositrice dei processi di regolamentazione legale della cannabis, nel suo logo evoca lo spettro dell’arrivo – dopo Big Pharma e Big Tobacco – anche di Big Marijuana. Perché chiamare due attivisti proibizionisti invece di qualche illustre accademico o rappresentante istituzionale?
Eppure, il Governo italiano poteva sicuramente avere il supporto, ad esempio, di un membro dell’International Narcotics Control Board, l’organo che vigila sul rispetto delle convenzioni ONU e che nel suo ultimo rapporto – che troverete commentato proprio nel nuovo Libro Bianco – si è scagliato a testa bassa contro le legalizzazioni. Il Dipartimento Antidroga poi ha da sempre un solido rapporto con il National Institute on Drug Abuse, l’agenzia federale USA che si occupa di droghe.
Ma forse sarebbero stati approcci troppo scientifici per un evento in cui le comunità sembra siano state invitate, per alimentare il mito, a portare testimonianze di chi ha iniziato con la cannabis per finire con l’eroina. In effetti leggendo il rapporto 2023/2024 di SAM sulle “Lezioni apprese dalle legalizzazioni statali della marijuana”, si scopre una serie di studi monocordi e statistiche estrapolate qua e là, utili solo ad avvalorare la propria tesi proibizionista.
Ci sono dati, come quello sull’aumento del 46% dei ricoveri da iperemesi ciclica in Colorado, che – in un gioco di scatole cinesi – non provengono direttamente dagli studi citati e che si riferiscono a tutti i ricoveri, non solo a quelli da cannabis. Altri utili solo a suggestionare un lettore disattento, come le analisi di conferma dei drugtest su strada, sempre in Colorado.
Se dimostrano la capacità degli attuali strumenti di verifica della presenza di THC, ci dicono anche che in meno del 50% dei positivi si è riscontrata una quantità tale da poter supporre la guida in stato alterato. Un po’ come ha fatto il Dipartimento Antidroga nel suo spot contro gli incidenti stradali che, mettendo insieme dati non omogenei, sembra suggerire che il 90% degli incidenti sia causato da droghe. E poi ci sono i bias.
Ad esempio: in assenza di legalizzazione statale, dichiarare il proprio uso di cannabis negli USA può portare anche all’arresto, alla multa o a conseguenze su lavoro, sussidi compreso il diritto alla casa. L’emersione dall’illegalità di comportamenti che possono avere delle conseguenze sulla propria salute permette quindi di poter serenamente dire in ospedale che si è stati male dopo aver usato quella determinata sostanza.
Continuare l’analisi sarebbe noioso: basti sapere che gli incidenti non hanno avuto aumenti statisticamente significativi rispetto agli Stati che non hanno legalizzato; la cannabis è certamente più ricca di THC grazie ai metodi di coltivazione e alla selezione genetica (la stessa usata per gli ortaggi), ma è solo un mercato regolato che permette al consumatore di sapere cosa usa; la correlazione fra uso di cannabis e psicosi è sì presente in molti studi ma nessuno è riuscito a provarne la causalità, mentre molti ipotizzano che l’uso della sostanza sia una forma di automedicazione.
Infine, no, per la scienza non c’è alcun legame fra l’uso di cannabis e quello di altre sostanze, se non lo spacciatore. Certo, nessuna regolamentazione legale di sostanze psicoattive è perfetta. Anche quelle più mature – alcol e tabacco – presentano ben noti problemi. Figuriamoci quelle ai primi passi. Così le leggi più recenti negli States hanno imparato da quelle precedenti, correggendo errori e innovando i modelli e la legge canadese è oggi in corso di revisione a partire dalle evidenze. Nessuno ha deciso di tornare indietro, anche in caso di cambio politico alla guida del paese, come in Uruguay. Ci sono ancora tante cose da risolvere: la giustizia per chi ha subito danni diretti dal proibizionismo, la garanzia della diversity nelle aziende, soluzioni per l’eccessiva concentrazione e finanziarizzazione dell’industria. Serve estendere le campagne di sensibilizzazione contro l’abuso e i comportamenti a rischio, che laddove sono state fatte bene hanno funzionato.
Ci sono poi la questione ambientale e la giustizia economica nei confronti dei paesi produttori tradizionali, prima martoriati dalla war on drugs ed ora tenuti fuori dall’indotto economico. Tutte questioni ben all’attenzione del movimento riformista. Anche per questo è assolutamente irricevibile, dopo 62 anni di fallimentare guerra alla droga, l’accusa lanciata – da SAM come dall’INCB – ai processi di legalizzazione di aver intercettato “solo” parte del mercato (in percentuali che variano dal 70-80% dei mercati maturi al 25-50% di quelli più recenti o con legislazioni meno efficaci).
Nonostante più di mezzo secolo di repressione il proibizionismo non riesce a intercettare nemmeno il 10% di quel mercato illegale, nonostante i miliardi spesi per farlo. Tornando in Italia è di questa settimana lo spiazzante emendamento con cui il Governo voleva regalare la cannabis light alle multinazionali e ai tabaccai. Evidentemente qualcuno ha fatto presente che non era il caso di farlo poche ore prima di scagliarsi contro “Big Marijuana”. Con buona pace della lobby dei tabaccai, che però si è dimostrata l’unica capace di scalfire l’ideologia proibizionista. La destra al Governo fa la destra.
Manda le forze dell’ordine alle fiere della canapa legale, “attenziona” le assemblee studentesche sulla cannabis, propone le comunità carceri per i detenuti che usano sostanze, si prende cura delle lobby. A livello internazionale allinea l’Italia a Russia, Cina e Iran che della tolleranza zero e della war on drugs sono i paladini. C’è da augurarsi che l’opposizione, se e quando tornerà al governo, impari dagli avversari a lasciare alibi e timidezze al passato e decida finalmente di provare a governare il fenomeno.
*Segretario Forum Droghe
[Fonte l’Unità del 25 giugno 2023]