Una curiosità, nulla più che una curiosità. Calogero Diana vuole dare soddisfazione a una personale curiosità: vuole sapere se spetta a lui la palma dell’ospite di più lungo corso nelle carceri italiane. Arrestato a settembre del 1970, al netto di un paio di evasioni (per un totale di due anni e dieci mesi spesi in libertà, tra la seconda metà degli anni Settanta e l’autunno del 1986), Calogero Diana è in carcere da più di quaranta dei suoi sessantaquattro anni di vita. Da quasi venti, dal 1994, il nostro corrispondente è in semi-libertà: esce tutti i giorni dal carcere, va a lavorare in una cooperativa sociale che si occupa di tossicodipendenze, immigrazione, tratta di esseri umani e malati di Alzheimer; fa quel che deve e se ne torna in carcere; tutti i santi giorni da vent’anni in qua. Eppure Calogero Diana non è stato giudicato meritevole di essere ammesso alla liberazione condizionale, prevista dal nostro ordinamento per i condannati all’ergastolo che abbiano scontato ventisei anni di pena (e anche prima se sia stato loro riconosciuto qualche sconto di pena per buona condotta). Ci ha provato due volte, nel 2002 e nel 2004 (quando aveva già superato i trent’anni di pena scontata): una volta gli hanno contestato di non aver assolto alle obbligazioni civili derivanti dai reati commessi e un’altra di non essersi adoperato a dimostrare il suo ravvedimento chiedendo scusa alle vittime dei fatti per i quali è stato condannato.
Dunque, Calogero Diana, pur essendo stato condannato (anche) per fatti di terrorismo, non ricade nelle preclusioni del regime del famigerato articolo 4bis dell’ordinamento penitenziario, quello che fa parlare anche in Italia di un ergastolo senza possibilità di revisione, il cosiddetto “ergastolo ostativo”, contro cui hanno preso parte recentemente molte importanti personalità del nostro Paese dal professor Veronesi alla compianta Margherita Hack. Ciò nonostante, Diana è in carcere da più di quarant’anni, non è stato scarcerato e forse non ha più neanche voglia di fare una nuova istanza di liberazione condizionale, avendo ragione di pensare che sia “a prognosi infausta”.
Non sappiamo se la carcerazione di Diana costituisca un primato, di questi tempi in Italia. L’unica volta che chi scrive ha potuto vedere una graduatoria di ergastolani per pena scontata, il recordman era un uomo ormai anziano, abbandonato in un Ospedale psichiatrico giudiziario da quarantanove anni e che avrebbe dovuto aspettarne altri sei per essere graziato dal Presidente Ciampi e andare a morire in libertà. Certo è che seppure Calogero Diana guida questa speciale classifica, non è solo, ma seguito a ruota da decine di altri: ergastolani che hanno scontato o stanno per scontare i ventisei anni di pena previsti per l’accesso alla liberazione condizionale o i trenta di pena temporanea massima prevista dal nostro ordinamento e restano lì, dimenticati da Dio e dal mondo.
Tocca ricordarla, questa verità, ai presunti pragmatici e realisti d’accatto, che si rifiutano di discutere della legittimità della pena a vita perché “tanto, in Italia, l’ergastolo non esiste: tutti escono con la liberazione condizionale a ventisei anni, se non anche prima”. Non è così: la realtà non è quella che si studia sui libri o si legge nei codici. L’ergastolo esiste perché rende ogni giorno di pena scontata diversa da quella cui è costretto un detenuto che conosce il suo fine pena e può sperare di raggiungerlo per uscire dal carcere. L’ergastolo esiste perché la sua fine è indeterminata nei tempi e nei modi. Fatevi un giro in carcere, parlatene con gli interessati e poi ne discutiamo.
Articolo di Stefano Anastasia
Stefano Anastasia scrive per la rubrica di Fuoriluogo sul Manifesto del 10 luglio 2013