Due tavoli con quattro sedie ciascuno. Sulla mensola c’è una fila di bicchieri colorati, contenenti il laccio emostatico e contrassegnati da un’etichetta con il nome del consumatore: Alfonso, Gaetano, Ingrid… L’età media dei pazienti è di 38 anni. La bombola di ossigeno è addossata alla parete. Nessuna telecamera, solo un vetro divisorio che permette al personale di intervenire in caso di overdose. Tutto pulito, efficiente, in ordine. Pronto all’uso. Come pulite e ordinate sono le strade della città.
Benvenuti all’ospedale universitario di Ginevra, il più grande della Svizzera. Il dottor Daniele Zunino, capo della Divisione che tratta le dipendenze in senso lato – dalle droghe all’alcol, dal gioco d’azzardo a Internet – sorride quando gli chiedi delle «stanze del buco». Premette che la nuova emergenza è la cocaina, molto più insidiosa dell’eroina, e che anche in Svizzera l’età del consumo si sta abbassando. Poi viene al punto: «I pilastri della politica svizzera in materia di droga sono quattro: terapia, prevenzione, riduzione del danno, repressione».
Quattro parole d’ordine, una filosofia: chi vuole disintossicarsi deve poterlo fare, gli altri devono comunque poter contare su strutture che in futuro consentano loro di provarci. Comprese le «sale di iniezione».
Anche in questo caso la distinzione è d’obbligo. La sala di somministrazione controllata interna all’ospedale funziona a precise condizioni: 18 anni compiuti, residenza a Ginevra da più di un anno, problemi di salute fisica, psichica o sociale, consumo di droghe da oltre due anni, almeno due trattamenti di recupero falliti. «Il fatto che il drogato accetti i criteri di ammissione, volutamente severi, è già una svolta», spiega Zunino. L’eroina, «di qualità purissima», è prodotta da un’azienda tedesca. Il trattamento, a scalare, prevede un massimo di 3 iniezioni al giorno. La dose complessiva è compresa tra i 200 e i 600 grammi.
L’alternativa è la sala di iniezione esterna, gestita da un’associazione privata, dove i consumatori si bucano con quello che trovano. In questo caso l’obiettivo è garantire le condizioni di igiene minima e intervenire in caso di overdose. Soprattutto, favorire un primo contatto con il tossico ed inserirlo in una rete: chi approda alla sala di somministrazione esterna viene invitato a rivolgersi a quella di somministrazione controllata.
Il doppio sistema non esclude ricadute e fallimenti. Con tutto, chi sgarra non viene buttato fuori. E poi non sempre l’astinenza è l’unico traguardo: qualche volta l’obiettivo si limita a migliorare le relazioni sociali e quelle professionali dei pazienti, dal reietto all’impiegato che approfitta della pausa pranzo per sottoporsi alla terapia, aumentandone la consapevolezza. Una cosa è certa, conclude Zunino: «Ormai a Ginevra è praticamente impossibile vedere gente che si buca per strada».