Se uno chiede quanti sono ancora i “rifugiati” in Francia a rischio estradizione, gli interessati arrivano a mettere insieme qualche decina di nomi e poi rispondono: settanta-ottanta. Al massimo un centinaio. Gli altri ormai sono “scaduti”, nel senso che non avevano condanne a vita né troppo elevate e quindi è scattata la prescrizione della pena. Sono tornati liberi, insomma.
Ma quel centinaio che non hanno chiuso i conti con la giustizia italiana – compresi quelli per i quali la prescrizione arriverà di qui a poco – sono ancora qui nelle vesti ufficiali di ex terroristi “latitanti”, seppure muniti di regolare permesso di soggiorno concesso dal governo di Parigi. E vivono appesi a un filo, che ogni tanto rischia di spezzarsi con l’arresto di uno di loro. Ora è il turno di Marina Petrella, ex brigatista ergastolana, imprigionata nell’agosto del 2007, estradizione firmata a giugno e ricorso pendente al Consiglio di Stato.
Da una settimana è arrivato l’ordine di scarcerazione per le gravissime condizioni di salute psico-fisica che la costringono in una stanza d’ospedale. Prima, nell’agosto 2002, era toccato a Paolo Persichetti, ex militante dell’Unione dei comunisti combattenti. E nel 2004 è stato il turno di Cesare Battisti, arrestato, liberato, fuggito e ripescato nel 2007 in Brasile, dove è ancora in corso la disputa legale per ottenerne la riconsegna.
A parte il destino di una donna giunta a pesare 40 chili di fronte alla prospettiva di scontare l’ergastolo in patria dopo che la Francia le aveva consentito per quattordici anni di costruirsi una nuova vita in libertà, il caso Petrella rappresenta per la comunità dei “rifugiati” un punto di svolta. A seconda di come si concluderà, avrà effetti decisivi su tutti gli altri che proseguono le loro “normali” esistenze francesi, fatte di lavori e famiglie ormai regolari, ma sempre col rischio di un “incidente” che può interrompere quella regolarità e riaprire vecchie pendenze penali per fatti di 25 o 30 anni fa. Crimini colorati di politica che in Italia non sono stati dimenticati, soprattutto dai familiari delle vittime, e che la Francia ha deciso di nascondere sotto il tappeto quando s’è ritrovata i responsabili in casa propria; salvo dare ogni tanto un colpo di ramazza. Come ha fatto con Marina Petrella.
Se ora verrà estradata, gli altri dovranno chiedersi chi sarà il prossimo; se invece resterà, potrebbe essere la fine di tante preoccupazioni. Anche se l’incognita rimarrà, soprattutto per quel pugno di persone (una decina) condannate all’ergastolo o a pene tanto lunghe da essere ancora lontane dalla prescrizione. S’è aperta così un’altra fase della tanto discussa – celebrata o criticata, a seconda dei punti di vista – “dottrina Mitterrand”, sopravvissuta al presidente socialista e rispettata in passato anche dai governi di destra, con la quale si trova ora a misurarsi Nicolas Sarkozy, e che da oltre un quarto di secolo garantisce asilo agli italiani condannati per fatti di terrorismo.
A fasi alterne, con più o meno lunghi intermezzi carcerari per chi è incappato nelle maglie della giustizia locale. Ma che di fatto ha impedito i rimpatri: dei 94 italiani che dal 1982 sono stati arrestati e poi liberati dalla magistratura francese, finora il solo Persichetti è stato riconsegnato materialmente alle carceri italiane. Un topolino partorito dalla montagna di dispute e polemiche che si trascinano da più di 25 anni.
Tutti gli altri (a parte Battisti, e la Petrella ancora sotto giudizio) sono rimasti e hanno ricominciato a vivere la loro vita di post-terroristi. Perché questo aveva chiesto loro François Mitterrand nel 1981, quando promise di non restituirli al Paese d’origine: uscire allo scoperto, mettendo fine al loro status di clandestini, e rinunciare a ogni teoria e pratica della lotta armata. Anche se non esiste una contabilità ufficiale, i “rifugiati” di allora – fuoriusciti dall’Italia e da decine di formazioni terroristiche, non solo Brigate rosse e Prima Linea – erano diverse centinaia.
Oreste Scalzone, giunto qui nell’81 e divenuto una sorta di icona degli “esuli”, sostiene che arrivarono a seicento. Mitterrand, in una dichiarazione del 1985, parlò di trecento, “cifra approssimativa”. Proprio Scalzone fu arrestato nell’agosto del 1982 e la Chambre d’accusation di Parigi diede “avviso favorevole” alla sua estradizione. Disatteso dal governo che non firmò il decreto per rispedirlo in patria. Con tanto di editoriale di Le Monde, intitolato “Lo Stato e la parola data”, a spiegare che il tradimento della promessa presidenziale avrebbe significato non solo una brutta figura sul piano nazionale e internazionale, ma anche il rischio di reimmersione nella clandestinità di qualche centinaio di ex terroristi, con conseguenze imprevedibili per la stessa Francia.
Da allora è cominciata un’altalena di decisioni contrastanti. Alla prima ondata di pareri a sostegno delle estradizioni durata fino al 1985 ne seguì una di segno opposto, perché quasi tutti i condannati non avevano assistito ai processi in Italia; un diritto violato secondo la legge francese, nonostante fossero stati gli stessi imputati a sottrarsi attraverso la fuga. Negli anni Novanta il vento cambiò di nuovo, e la Chambre tornò a sollecitare la riconsegna di quegli italiani riparati qui dopo la scarcerazione in patria dovuta all’eccessiva durata dei giudizi. Ma nonostante gli “avvisi favorevoli” delle corti, solo tre decreti di estradizione furono firmati dai primi ministri di Parigi, di destra o di sinistra che fossero.
Uno nel 1987, abrogato dal Consiglio di Stato; uno nel 1991, corretto da un successivo contro-decreto che sostituiva il precedente; il terzo, nel 1994, nei confronti di Persichetti. Mai eseguito fino al 2002, quando la falsa pista di un suo coinvolgimento nel delitto Biagi firmato dalle nuove Br convinse i francesi a spedirlo a Roma nel giro di ventiquattr’ore. Dopo quella decisione – e l’invio dall’Italia di una lista di dodici condannati da arrestare, compilata sulla base di criteri mai svelati – i casi Battisti e Petrella (nomi contenuti nella lista) hanno animato il dibattito più in Francia che in Italia.
Oltre ai timori dei “rifugiati”, ovviamente. Perché è la Francia che ha consentito a queste persone di ricostruirsi una vita alla luce del sole, con tanto di documenti d’identità rilasciati dalle prefetture, e poi improvvisamente deciso di restituirne qualcuno al suo passato. Secondo scelte che paiono casuali: “Come fosse una roulette russa”, mormora chi potrebbe essere colpito all’eventuale prossimo giro. Un governo ha tutto il diritto di rinnegare la famosa “dottrina”, ma è la retroattività della decisione che diventa poco digeribile per gli interessati e l’opinione pubblica locale, e rischia di mettere un po’ in imbarazzo lo stesso Sarkozy. È quindi alla Francia che gli ex terroristi chiedono di mantenere la “parola data”. Perché senza quella “parola” – dicono nei bar parigini dove chiedono di non essere indicati per nome, perché la prudenza non è mai troppa – “non avremmo messo su famiglia o fatto figli. Come Marina”. Cioè la Petrella, madre di una bimba francese di dieci anni, presa forse casualmente o forse no in un agosto come questo. E che in una camera d’ospedale aspetta di sapere se avrà ancora il futuro che le era stato garantito. A lei e gli altri.