A ruota dei risultati dei referendum americani sulla cannabis giunge l’ultimo Rapporto 2016 della Global Commission on Drug Policy; cioè di quell’organismo internazionale formato da personaggi di notevole rilievo (come l’ex Segretario dell’ONU Kofi Annan) che da anni si batte per una revisione delle nefaste politiche nazionali e internazionali nel campo delle droghe.
Il rapporto esordisce con un aggiornamento sui disastri della guerra alle droghe basata sulla tolleranza zero, con un duro giudizio sulla inerzia dei politici e delle istituzioni a fronte di un quadro a dir poco apocalittico. Su scala planetaria sono oltre 200.000 all’anno i morti di droga, di cui un terzo per overdose; pesanti le ricadute sulla salute pubblica, per infezioni da HIV e HCV e varie altre patologie; assurda (oltre l’80%) la quota delle condanne penali per droga irrogate per “reati” di detenzione e uso personale, da cui le carcerazioni di massa, in condizioni spesso disumane, e il grave intralcio al funzionamento della giustizia per reati di ben maggiore gravità. E ancora: i trattamenti coercitivi non di rado si svolgono in situazioni lager ed equivalgono a vera e propria tortura. La discriminazione nelle operazioni di repressione colpisce soprattutto i soggetti delle classi più sfavorite, chiaramente a fini di controllo sociale, contribuendo alla crescita inesorabile delle disuguaglianze. Giù giù sino al dilagare delle esecuzioni extragiudiziali, e non soltanto nelle Filippine, che si aggiungono alla pena di morte tuttora legale e frequentemente applicata in molti Stati.
Il rapporto, basandosi sugli esempi del Portogallo, della Repubblica Cèca, dell’Olanda e dell’Australia, passa poi a valutare i benefici della decriminalizzazione del possesso e dell’uso personale di droghe, sia sotto il profilo sanitario, per esempio con la riduzione dei contagi HIV, che sotto quello dei costi sociali, per la riduzione del numero dei carcerati e l’aumento degli occupati tra i soggetti in precedenza marginalizzati. Interessante la messa in guardia contro la falsa decriminalizzazione in quei paesi dove le soglie sono talmente basse da vanificare la norma (come in Messico) o le forze dell’ordine sono libere di commettere ogni sorta di arbitri (come in Colombia). E particolarmente interessante per noi la dimostrazione che le sanzioni amministrative sostitutive di quelle penali comportano costi sociali e costi per lo Stato troppo elevati per potersi giustificare. Infine le due coraggiose bordate finali. La prima riguarda l’esigenza di misure alternative a quelle penali per una folta schiera di “attori di basso livello” sulla scena delle droghe, tenendo conto del fatto che il “rifornimento sociale” rappresenta una quota consistente dei livelli più periferici del mercato delle droghe: consumatori/piccoli spacciatori, pesci piccoli tra i corrieri, e altre figure analoghe. In secondo luogo, considerando che tutte le misure sin qui riassunte non indebolirebbero le organizzazioni criminali del narcotraffico, il rapporto, condannando la turlupinatura dell’obiettivo “un mondo senza droghe”, si pronuncia decisamente per una regolamentazione dei mercati delle droghe, analogamente a quanto avviene per molti prodotti potenzialmente pericolosi.
Infine, prima di chiudere con una ricca bibliografia, il rapporto presenta una decina di testimonianze personali da diversi paesi, per lo più sui drammi di soggetti le cui vite sono state in vario modo calpestate a causa del proibizionismo: un avvertimento sull’esigenza di prestare attenzione ai problemi non solo nel loro insieme, ma anche nella loro specificità caso per caso.
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