“E la nave va” scrisse una volta Bettino Craxi, citando Federico Fellini. La nave Italia andava e Craxi era al timone, come oggi Enrico Letta. Nel film di Fellini la nave andava nonostante tutto. Non sappiamo se il neo-premier saprà accontentarsi, come Craxi allora, che la nave vada. Certo è che non di piccolo cabotaggio e di ordinaria amministrazione ha bisogno l’Italia. In modo particolare a proposito di giustizia e carceri, droghe e diritti.
Tutti sanno che il nostro Paese è sorvegliato speciale in Europa. Con una pratica dilatoria degna di un azzeccagarbugli di provincia, qualche settimana fa il governo italiano ha fatto ricorso contro la sentenza della Corte europea dei diritti umani che lo obbliga a ripristinare condizioni di legalità nelle carceri entro un anno. Guadagnerà qualche mese, poi il countdown imposto dalla sentenza-pilota riprenderà a scandire il suo tempo. Nel frattempo la Corte costituzionale sarà chiamata a decidere su (almeno) due questioni di legittimità costituzionale del codice penale nella parte in cui non prevede la possibilità di sospendere la pena quando costituisca un trattamento contrario al senso di umanità. Questione già decisa positivamente dalla Corte costituzionale tedesca e dalla Corte suprema statunitense.
La condizione di vita nelle carceri è una questione di prepotente urgenza. Così l’ha definita più volte il vecchio e nuovo Presidente della Repubblica. Che ne farà il nuovo governo presieduto da Enrico Letta?
Partiamo da cosa non deve fare: quello che hanno fatto i suoi predecessori. Non serve nessun “piano carceri” edilizio (come quello ardentemente voluto fino al fallimento da Angelino Alfano, quando era ministro della giustizia del Governo Berlusconi). Non serve nessuna misura tampone, come quella detenzione domiciliare speciale su cui puntava inutilmente la Ministra Severino. Nè servono altri sprechi come quel contratto che garantisce alla Telecom milioni di euro in cambio di braccialetti elettronici che nessuno ha mai visto. Se si vuole affrontare il problema del sovraffollamento e finirla con quelle stucchevoli giaculatorie che siamo abituati a sentir recitare a ogni morte in carcere, bisogna fare poche e semplici cose: depenalizzare il consumo di sostanze stupefacenti e liberare le misure alternative alla detenzione dalle catene che sono state loro imposte da leggi propagandistiche sulla sicurezza. Queste e altre proposte per la tutela dei diritti in carcere, dall’istituzione di un garante nazionale dei detenuti all’introduzione del reato di tortura, sono l’oggetto della campagna di leggi di iniziativa popolare promosse da molte associazioni in questi mesi. Basterebbe ai gruppi parlamentari anticipare l’impegno delle associazioni e depositare quelle proposte, iniziare a discuterne e trasformarle in legge entro il termine stabilito dalla Corte europea dei diritti umani. Tocca scegliere, però: se si vuole restare nell’Europa dei diritti, non è più tempo per la propaganda sulla sicurezza. La raccolta delle firme continuerà il 9 maggio nelle Università testimoniando l’entusiasmo e la convinzione dei giovani